SPECIALE

Speciale Diversity & Inclusion

Tra la domanda “Chi sei?” e la domanda “Cosa fai?” corre il fiume sempre in piena della complessità.

Speciale Diversity & Inclusion

La domanda sul tema D&I è nata all’interno dei nostri gruppi di lavoro, stimolata dal pensiero che la trasformazione organizzativa e la transizione necessaria -che sono il nostro quotidiano- abbiano dentro, sempre, le persone. Lo abbiamo imparato, sul lavoro. Tra la domanda “Chi sei?” e la domanda “Cosa fai?” corre il fiume sempre in piena della complessità

E chi lo sa riconoscere, chi ci si confronta ogni giorno, ha moltissimo da raccontare.
Noi, che sappiamo cartografare, abbiamo srotolato la mappa navigando tra grandi aziende, associazioni, biografie e professioni. Per dirci che no, non è più tempo di aspettare che ve lo chieda la piattaforma, qualunque essa sia. Buona lettura e buon viaggio!

Ci siamo incamminati in un viaggio conoscitivo, contattando aziende e persone che ci sembravano in grado, per esperienza e per percorsi fatti, di ampliare la nostra cognizione e modificare la nostra percezione sul tema Diversity & Inclusion.
Quel che abbiamo incrociato, oltre a storie con biografie e professioni, è un tema che si compone di tanti temi, attorno ai quali ruotano non solo le persone ma anche le visioni strategiche.

A maggio 2022, ci siamo domandati se Kopernicana stesse osservando il cambiamento in atto nelle aziende con una prospettiva che andasse oltre l’ambito esclusivamente organizzativo.
Una domanda necessaria, un self-check periodico che resta una buona abitudine.
Si avvicinava il Pride, molte aziende raccontavano le iniziative prossime, ci siamo detti “Ma cosa sappiamo di Diversity & Inclusion?”.
Al primo giro, ne sapevamo abbastanza per ritenerci soddisfatti.

E probabilmente molti di noi hanno fatto esattamente questa esperienza.
“Sono una persona/azienda che legge, che conosce, sono informata/o… so quel che c’è da sapere, agisco nel modo migliore”.
Ma poiché Kopernicana nasce per mappare l’esperienza aziendale, guidare la trasformazione a tutti i livelli gerarchici, progettare modelli, servizi e strumenti attuabili per organizzazioni guidate da Purpose e obiettivi, era abbastanza scontato che la prima risposta (molto confortante) non ci sarebbe bastata.

grazie a chi ha risposto alle nostre domande e ci ha messo a disposizione straordinarie esperienze e know how:

Paola Magrini, Sustainability Management Specialist – ENEL

Sonia Di Battista e Annarita Borrelli, People Care, Diversity & Inclusion Management – ENEL

Sofia Scarpitti, Diversity, Equity & Inclusion – WindTre

Gabriella Crafa, Digital Transformation, Diversity & Inclusion expert – Diversity Lab

Andrea Notarnicola, Corporate Consultant – Newton

Alessandra Carriero, People & Culture Manager – We Are Social

Roberto Mastropasqua, Neurodiversity Advocate & Blogger – Neuropeculiar

Quando si parla di Diversity & Inclusion ci si concentra sul fatto che il punto di caduta è strategico, per l’azienda. Quindi non solo una questione da HR.
Ed è per questa ragione che un’azienda come Kopernicana, che applica pienamente il self-management e che lo porta verso i propri clienti -quando questi sono pronti a muoversi in quella direzione- ha in qualche modo il dovere di osservarsi e raccontare aspetti del modello. Sia per comprendere aspetti da valorizzare sia per individuare potenziali fragilità.

Partiamo da un punto fermo. Un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo fa sì che tutti, indipendentemente da chi siano o da cosa facciano per l’azienda, si sentano ugualmente coinvolti e supportati sul posto di lavoro. E – d’altra parte – un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo porta grandi vantaggi anche al prodotto, ai processi interni, all’azienda stessa.

È una storia personale ed è una storia professionale, quella di Clara, arrivata da neo-laureata nel nostro team. Ed è una riflessione su un tema centrale: se il rapporto tra cambiamento e trasformazione organizzativa è evidente e dal momento che occuparsi di trasformazione organizzativa equivale a modificare i processi e le pratiche organizzative, quello tra cambiamento e Diversity & Inclusion potrebbe non essere così manifesto.

L’ambiente di lavoro è un contesto di vita molto importante (dove spesso si passa gran parte del proprio tempo), nel quale hanno origine e si sviluppano i processi psicologici legati alla costruzione del sé.
Nelle organizzazioni entrano quindi in gioco i medesimi meccanismi identitari che ritroviamo in tutti gli altri contesti di vita. Per questo, anche in azienda, le persone saranno motivate a mantenere una valutazione positiva della propria identità personale e delle proprie appartenenze di gruppo, anche di quelle che apparentemente non sono collegate all’ambiente di lavoro.

Perché, solo interrogandoci sulla nostra capacità di differenziare con intelligenza per dare valore alle differenze, pur rimanendo cioè equi e non producendo ulteriori discriminazioni negative, possiamo abbandonare il vecchio vizio di semplificazione massiva dell’HR e il tradizionale ricorso a soluzioni one size fits all.

Alcune corporate hanno istituito vere e proprie funzioni D&I, solitamente entro i confini del più ampio dipartimento HR, volte a presidiare le attività a 360°. Altre aziende tentano di inserire la D&I all’interno dei progetti culturali, di formazione e di sviluppo delle persone, sfruttando le competenze già esistenti in altre funzioni HR, quali appunto L&D, Comunicazione Interna e Talent Acquisition in primis (dimenticando che i temi D&I dovrebbero toccare tutte le attività, dall’amministrazione al Comp&Ben, fino alla vecchia cara “gestione”).

Altre ancora non toccano nemmeno il tema e raramente si pongono il problema, se non nel caso di urgenze dettate dalla necessità di reagire ad una crisi reputazionale pubblica, ad un episodio di discriminazione denunciato per vie legali o all’improvvisa necessità di far vedere che si è compliant rispetto ad un ente certificatore esterno.

Sulla nostra strada abbiamo incontrato Martina Fuga, vice-presidente e responsabile della comunicazione di CoorDown e Communication Advisor di GADIM, Global Alliance for Disability in Media and Entertainment. Ci siamo fermati parecchio tempo con lei, chiedendole prima di lasciarci un contributo scritto e poi, semplicemente, chiedendole un secondo appuntamento (ma questa è un’altra storia).

C’è un malinteso di fondo: la D&I non è un processo, una pratica, non c’è una ricetta in cui si scelgono gli ingredienti e si “fa diversity”. Le aziende oggi sentono di doversene occuparsene, ma più perché hanno obiettivi e KPI a cui rispondere o perché tutti se ne occupano. La D&I però non è un compitino: le aziende oggi DEVONO occuparsene perché è la cosa giusta, perché la direzione che ha preso il mondo lo chiede.
Sono poche le aziende che hanno davvero cultura aziendale in questo senso, ad esclusione delle aziende globali che hanno una sede anche in Italia, la maggior parte si è appena affacciata al tema e procede a tentativi, tra un webinar su questi temi ogni tanto e una dichiarazione d’intenti sui propri canali social.
C’è un atteggiamento paternalistico diffuso che va sradicato. Occuparsi di D&I non è fare qualcosa per gli altri. La D&I è una cosa che ci riguarda, tutti, molto più di quanto pensiamo.

Cosa possiamo fare assieme?