Di HR e necessità strategiche

lunedì 4 marzo 2024

7 minuti

Di HR e necessità strategiche

La parola strategia e l’approccio strategico all’organizzazione non sono più concetti alieni all’HR

Ah, l’HR e la strategia, questa sconosciuta. O meglio, questa sconosciuta, una volta!

Sì perché, pur essendo la funzione “Risorse Umane” figlia di una storia organizzativa di mero supporto al business (se non servilismo, potrebbero dire quelli cattivi), tra mansioni amministrative e incombenze scomode da “braccio armato del potere” -quando le cose non vanno-, negli ultimi anni l’aria è cambiata e parecchio.

La parola strategia e l’approccio strategico all’organizzazione non sono più concetti alieni all’HR, anzi diventano sempre più una costante del dialogo interno con i manager e i team della cosiddetta “linea”.

Negli ultimi anni l’aria è cambiata

Ma cosa vuol dire essere più strategici in HR? Significa che fare le buste paga, le lettere di richiamo e risolvere i piccoli grandi problemi gestionali di ogni giorno non è più importante? Assolutamente no, quello sarà sempre necessario.

Significa che dobbiamo diventare sognatori distaccati dalla realtà, concentrati solo sui propri voli pindarici alla ricerca di magiche connessioni tra innovative strutture organizzative, nuovi modi di lavorare e colpi da palcoscenico in materia di coinvolgimento e soddisfazione delle persone? Probabilmente nemmeno, ma che dobbiamo saper tenere insieme l’alto e il basso e non perderci nell’operatività quotidiana, questo sì

Tenere insieme l’alto e il basso e non perderci nell’operatività quotidiana

Certo, i trend da seguire oggi, di cui sono ricolmi i dibattiti e le offerte consulenziali, sono davvero tanti, dagli affanni della ricerca di una nuova leadership (ieri l’altro eroica, poi “servant”, oggi “gentile” e domani chissà), alla domanda di “people caring”, dalle guerre in materia di smart working alle litigate sull’Agile, dal self-management alle organizzazioni progressive, dal well-being all’approccio data driven alla DE&I, fino all’intelligenza artificiale mescolata con la scienza della felicità e via discorrendo. 

Tutto bellissimo, ma nel frattempo è urgente chiudere quella selezione per la posizione di assistente del dirigente X, dobbiamo erogare asap il corso su excel e la formazione linguistica per il team Y, ma per favore non scordiamoci di organizzare l’aperitivo con quei tramezzini che ci piacciono tanto o di inviare quella mail interna per quella comunicazione che mediamente, come al solito, pochi leggeranno in tempo.

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L’HR oggi è in crisi. Anzi no, lo è da un po’. Gli viene richiesto di più e a volte persino l’impossibile. 

Si è però attivato: studia, corre, sperimenta e si affanna per tenere insieme le urgenze operative di sempre, così come le nuove priorità strategiche, spesso senza le risorse necessarie, che siano persone o strumenti tecnologici e dovendo anche lottare con chi non ha le conoscenze specialistiche sul mondo people e la sensibilità giusta per trattare questi temi.

Eppure il momento storico è quello giusto. È arrivata l’era di un HR più strategico, che oggi può e deve far parte del dialogo al vertice delle organizzazioni e far capire al management che queste “risorse”, umane appunto, sono persone e non ingranaggi, esseri umani preziosi (senza retorica) per l’organizzazione, di fatto l’asset più importante. 

Per questo è importante capire e curare come lavorano, come interagiscono, di quali tecnologie e sistemi operativi si dotano, come si sentono e come possiamo abilitarle realmente a crescere e ad avere più successo domani, per loro e per il business.

L’HR oggi è in crisi, ma si è attivato

Come fare?
Credo che il punto di partenza siano una domanda e uno sguardo.

La domanda è “cosa mi sta dicendo questa organizzazione oggi?”.
Attenzione, non significa nemmeno chiedersi cosa ha in testa la leadership aziendale e basta. Questo è insufficiente e spesso foriero di bias e semplificazioni pericolose. 

Significa chiedersi di cosa abbiano veramente bisogno le persone. Non hanno bisogno dell’ultimo corso gamificato o immersivo con il VR solo perché alla moda, se quel corso non è in linea con i propri bisogni formativi e le competenze applicabili nel loro lavoro. 

Significa indagare sul serio, ogni giorno, questi bisogni, espliciti ma soprattutto latenti, grazie al potere dell’ ascolto strutturato, che non è la semplice chiacchierata alla macchinetta del caffè, ma il frutto di un processo continuativo e di una serie di strumenti da mettere in campo in modo capillare.

Lo sguardo, invece, è quello che ci permette di vedere sia attorno a noi che in profondità.
È quella cosa che sappiamo fare se alla sensibilità che spesso molti HR hanno in modo “naturale” per le persone (spesso frutto di un’empatia di superficie, nel senso di incapace di andare oltre un certo livello) uniamo una sensibilità di secondo livello per la complessità sistemica che si trova intorno al singolo: è l’ascolto del nostro contesto di riferimento inteso come ecosistema, dell’organismo vivente e sempre in movimento che è la nostra azienda in realtà, oltre gli schemi dei processi formali e dell’organigramma. 

La domanda è “cosa mi sta dicendo questa organizzazione oggi?”

Significa capire e osservare l’evoluzione della cultura dell’organizzazione, delle identità subculturali di dipartimento o team, delle relazioni tra le persone, delle pratiche, dei sentimenti, desideri e necessità spesso non espressi, delle potenzialità altrettanto inespresse non solo di singoli ma di intere unità e comunità. 

Uno sguardo che dall’interno deve sapersi rivolgere anche all’interconnessione tra ecosistema interno ed esterno, sporgendosi sul crinale del confine permeabile tra azienda e mondo, dove si crea e ricrea continuamente l’equilibrio dinamico tra richieste del mercato e sforzi umani volti a soddisfarlo. 

Uno sguardo che infine deve sapere effettivamente sognare il futuro ed immaginare come questa organizzazione, che abbiamo il privilegio come HR di navigare e stimolare con le nostre iniziative quotidiane, stia cambiando e dove potrebbe essere domani ma anche tra cinque, dieci e venti anni, chiedendosi quali saranno gli asset tangibili ed intangibili che la manterranno in vita e vitale allora, le sue leve della crescita, e come potremmo alimentarli oggi.

Sporgersi sul crinale del confine permeabile tra azienda e mondo

Facendoci questa domanda di fondo e mantenendo questo sguardo ogni giorno, sapremo quali saranno le giuste priorità strategiche per lavorare e costruire i nostri asset e le nostre competenze HR del futuro.
Solo così sapremo evitare di inseguire le mode ed affannarci inutilmente. Perché è facile dire “i dati sono il futuro” e sicuramente diventare più data driven come HR ci aiuterà a fare questo, è ovvio, ma non può essere una finalità in sé, così come il diventare più digitali o più agili. Stiamo parlando di mezzi e strumenti, mentre il fine è dentro di noi ed è il nostro, è quello della nostra organizzazione, che ne sia cosciente o meno.

Credo che questa prospettiva strategica, tanto semplice all’apparenza quanto difficile da mettere in pratica, sia la chiave per raggiungere quel famoso bilanciamento sempre precario che, oltre ogni report e certificazione formale, potremo chiamare un giorno per nome e lettera maiuscola come la nostra Sostenibilità Organizzativa Reale

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