Well-being: domande non scontate per un’etichetta complessa

sabato 11 marzo 2023

4 minuti

Well-being: domande non scontate per un'etichetta complessa

Il benessere in azienda come un'opportunità da cogliere

Cos’è questa nuova tendenza al “corporate well-being”? Ha veramente senso che un’azienda si preoccupi non tanto e non solo del profitto e delle performance, ma anche del benessere dei propri dipendenti? E in tal senso, parliamo di una preoccupazione legittima da un punto di vista HR o stiamo rischiando di sforare in una visione paternalistica ed invasiva di quella che è una sfera del vivere personale e privata?

Non si tratta di una domande scontate e di immediata risposta e l’impressione è che in Italia e non solo si sia ancora all’inizio di un percorso di cambiamento culturale.

Il well-being è un’etichetta complessa, un bacino nel quale confluiscono molteplici iniziative in parte sovrapposte al classico welfare (per certi versi il suo antenato organizzativo) ma non del tutto coincidenti e volte al benessere a 360° delle persone in azienda.

Andiamo da quella che è la salute mentale (vedi il recente trend dei servizi di assistenza psicologica esplosi in periodo pandemico) alla salute fisica, dalla prevenzione delle malattie alla promozione di comportamenti sani, ma anche il benessere finanziario e la formazione connessa per i dipendenti. Ci sono poi aspetti più inerenti all’organizzazione del lavoro, quali un miglior bilanciamento vita-lavoro, la capacità di produrre soddisfazione e senso di achievement (realizzazione della persona sul lavoro), ma anche di chiarire una dimensione di senso (purpose) e la costruzione di relazioni e di un clima sano tra le persone, fino alla promozione di una “leadership positiva”. Parliamo quindi di un ambito che continua ad espandersi e i cui contorni tendono ad essere sfumati.

La risposta breve alle domande precedenti è che la nostra idea di azienda, di cosa sia, sta evolvendo e che la sola ricerca del profitto soprattutto inteso come unico scopo dell’azienda sembra essere ormai superata. Che ci piaccia o meno, c’è altro e le persone si aspettano altro, ormai, dalle aziende. E di conseguenza dobbiamo prenderci carico di questioni che potevano fino a poco tempo fa sembrare di ordine secondario, ma che in realtà non lo sono, in primis per le finalità di business.

Questo a maggior ragione se si considerano le sempre più frequenti denunce e attacchi (a danno di business e brand) che le persone possono lanciare, giustamente, contro contesti tendenti a generare eccessivo stress e condizioni di lavoro ai limiti della sostenibilità. Gli effetti collaterali sono l’esplodere del turnover, un clima tossico, scarsa cura del cliente e poco attaccamento alla maglia, oggi non scontato come in passato.

Viceversa, nonostante qualcuno si sforzi ormai con effetti ridicoli di dimostrare il contrario, il benessere e il clima positivo (che non significa privo di stimoli o sfide o totalmente avulso da dinamiche di stress, sia ben inteso) potenziano e spingono la produttività e i risultati di business, perché persone che stanno meglio, lavorano meglio. Ed è strano che questa sia ancora una cosa da dichiarare e sostenere, quando, questo sì, dovrebbe essere ovvio per tutti.

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Quindi: no, ribadiamo, performance e benessere delle persone non sono concetti in antitesi, quanto piuttosto alleati.

Il people caring e il wellbeing in azienda sono una cultura da creare e un percorso da sostenere.

A tal fine, un buon punto di partenza che ci può ispirare è il filone della psicologia positiva e il framework del “PERMAV”, che ha origine da Martin Seligman e si compone di sei dimensioni fondamentali e utili a mappare le esigenze del nostro contesto:

  • positive emotions: capacità di sperimentare emozioni positive

  • engagement: ingaggio, motivazione e coinvolgimento verso obiettivi sfidanti e utili a realizzare talenti e attitudini

  • relationship: la costruzione di relazioni autentiche e senso di comunità

  • meaning: chiarezza di una dimensione di senso e scopo che vanno oltre le mere attività da svolgere e che si connettono alla dimensione valoriale

  • achievement: il bisogno di crescere e raggiungere obiettivi, il sentire di fare progressi verso qualcosa di importante

  • vitality: energia, vigore e salute della persona

A partire da questo schema di riferimento, non esistono soluzioni preconfezionate e ogni organizzazione deve oggi interrogarsi e mappare le proprie esigenze, in una dinamica ideale di costruzione aperta di soluzioni fondate su un approccio di codesign partecipato dalle persone a tutti i livelli.

E in questo modo, potremo raggiungere un fine ulteriore e più alto di quello del business, che è quello della costruzione di contesti organizzativi finalmente degni di essere vissuti.

Questo non ha a che fare con la presunzione di imporre il benessere come un ulteriore dovere per la persona e con il prendersi cura dei collaboratori contro la loro volontà: sì, sarebbe paternalistico e inopportuno, perché invasivo della loro sfera di libertà. Al contrario, ha a che fare con il moltiplicare le possibilità e risorse a sostegno del benessere come libera opportunità e con il creare un contesto in cui wellbeing e realizzazione delle persone sul lavoro e nel lavoro siano più facili, perché la vita e il suo senso non si manifestano solo al suo esterno, nella dimensione privata, ma anche e soprattutto entro i suoi sempre più sfumati e flessibili confini.

Per questo credo che si stia parlando finalmente di un trend da cavalcare e di non una, ma tante grandi occasioni da cogliere il prima possibile.

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