Un tema molto attuale è la trasformazione delle aziende verso modelli organizzativi basati sulla gestione evoluta delle competenze.
La valorizzazione di competenze complesse per un mondo variabile, imprevedibile e complesso.
Ciò avviene perché ci si è accorti della centralità della capacità delle persone di sapere e saper fare, ma anche di evolvere continuamente questo saper fare imparando cose nuove, per stare al passo di un mondo che cambia molto spesso e velocemente, generando incertezza.
Una prova su tutte, l’incapacità di fatto di prevedere l’impiegabilità futura effettiva sul mercato del lavoro dei titoli universitari.
Una volta studiare una determinata cosa comportava automatici (nel senso di prevedibili) riscontri sulla ricerca del lavoro successiva, ora non più. Questo pur rimanendo sempre valido il vantaggio statistico (in termini anche di livello retributivo medio) di essere laureati sul lungo periodo. Ma quanto anche questo vantaggio deriva dal titolo di ingegnere o avvocato in sé e quanto è invece correlato al fatto che aver studiato da giovani pone le basi (in termini di mentalità, abitudini, metodo, persino neurologiche) per poter imparare meglio successivamente quello che ci serve? Quanti possono dire a dieci anni dalla laurea di essersi limitati ad applicare quanto studiato sui banchi universitari?
Non a caso il famoso “continuous learning” in azienda è ampiamente sdoganato e al centro di tutte le strategie di gestione della forza lavoro ormai da anni.
La valorizzazione di competenze complesse per un mondo variabile, imprevedibile e complesso
Non più job title e status al centro, non più schemi fissi e piani di carriera lineari all’interno del proprio angolo di expertise verticale (progredendo per seniority tecnica quindi), non più posizioni di rendita basate sul titolo di studio o persino l’appartenenza a un albo professionale, ma competenze: tante, diverse, orizzontali, mutevoli come il contesto che ci circonda e che puntualmente ci stupisce.
Un bagaglio che l’individuo deve alimentare nel tempo, spesso uscendo dalla zona di comfort per aprirsi all’ignoto, contaminandosi con altri mestieri e discipline, adiacenti alla propria (da qui principalmente i famosi profili “T shaped” e la rivalutazione odierna dell’orizzontalità) o persino lontani, perché ambiti apparentemente sempre più diversi si connettono in modo inedito in un contesto complesso e soggetto a innovazioni travolgenti. Innovazioni che creeranno scenari inattesi, per cui a volte solo sul momento (quindi a posteriori) potremo capire cosa ci serve realmente per affrontarli, unendo i famosi punti citati da Steve Jobs.
Questo deve fare l’individuo per provare a rimanere al passo e garantirsi (anche se di certezze ve ne sono davvero poche, si sarà intuito) la propria “employability” sul mercato del lavoro.
Stessa cosa devono fare le aziende per mantenere produttiva ma anche stimolata dinamica la propria forza lavoro, tenendola bilanciata rispetto ai trend emergenti di nuove competenze che nascono, crescono e muoiono sul mercato esterno e nel business in senso ampio, mettendo alla prova la loro capacità di competere con successo.
Non più job title e status al centro
È in relazione a questa emergente centralità delle competenze, quasi una pressione incalzante, che si sta mettendo in discussione tutto, dall’esistenza stessa di ruoli fissi in azienda allo sfaldamento di gerarchie, carriere, strutture di team, modalità operative e collaborative.
Per non parlare dell’ormai critica e probabilmente superata distinzione tra competenze tecniche o hard skills e competenze trasversali o soft skills, con le seconde sempre più evolute e determinanti nel contesto lavorativo, tanto da venire chiamate “power skills” da qualcuno.
In questo speciale abbiamo voluto esplorare il tema da diverse angolature, mettendolo in relazione con nuovi modelli organizzativi, nuovi strumenti e modi di lavorare, fino all’impatto che può avere la tecnologia su questo fronte.