Nel tempo delle organizzazioni fluide e del lavoro che cambia volto, le regole non devono scomparire, ma trasformarsi: il giuslavorista Gianluca Spolverato, Managing Partner di WI LEGAL, racconta come sia possibile innovare senza violare, piegare le norme senza spezzarle, costruendo fiducia, autonomia e nuovi modelli organizzativi all’interno della legalità
Negli ultimi anni, il mondo del lavoro ha iniziato a muoversi lungo coordinate profondamente diverse rispetto al passato. Non si tratta solo di nuove tecnologie, smart working o digitalizzazione. Il vero cambiamento è culturale e organizzativo: riguarda il modo in cui le persone lavorano insieme, il valore che viene attribuito all’autonomia, alla trasparenza, alla responsabilità diffusa. A cambiare è la relazione tra individuo e organizzazione, tra regole e fiducia, tra tutele e flessibilità.
In questo scenario emergono nuove sfide, anche per chi si occupa di diritto del lavoro. Perché quando cambiano le forme del lavoro, devono necessariamente cambiare – o essere reinterpretate – anche le regole che lo governano. Sempre più organizzazioni, oggi, provano a sperimentare forme di autogestione, strutture orizzontali, sistemi di remunerazione variabili e condivisi. Ma come farlo all’interno delle norme esistenti? Come costruire modelli giuridicamente legittimi, ma innovativi?
È da questa domanda che si muove il lavoro – teorico e pratico – di Gianluca Spolverato, avvocato cassazionista, fondatore dello studio legale Wi Legal e del progetto editoriale Laborability. Il suo approccio al diritto del lavoro è attento alle dinamiche culturali e comunicative che rendono le regole effettivamente comprensibili, condivise e applicabili, ma resta saldamente ancorato al rispetto rigoroso dei perimetri definiti dall’ordinamento.
«Le regole – sostiene Spolverato – non servono a esercitare potere, ma a costruire fiducia e responsabilità. Il linguaggio prescrittivo, da solo, lascia spesso le persone in una condizione di opacità. Per questo serve aggiungere un linguaggio diverso, quello della comunicazione e della chiarezza».
Una delle esperienze in cui questa visione ha preso forma concreta è il regolamento sviluppato con Kopernicana, introdotto come regolamento interno ma pensato come modello per tutte le organizzazioni che desiderano introdurre principi di self-management senza violare le norme.
Il lavoro sviluppato insieme a Gianluca Spolverato è l’applicazione di quello che potrebbe diventare un paradigma: le aziende possono cambiare, anche profondamente, senza rinunciare alla legalità. Basta saper “piegare” le regole a nuove funzioni, senza spezzarle.
Un modello per tutte le organizzazioni che desiderano introdurre principi di self-management senza violare le norme
La crisi del modello organizzativo tradizionale
Per comprendere fino in fondo la portata del cambiamento, bisogna partire da un punto fermo: il modello organizzativo dominante nelle aziende italiane è ancora quello nato nella rivoluzione industriale. Un modello costruito su gerarchie rigide, controllo verticale e bassa autonomia operativa, che ha funzionato per decenni, ma che oggi mostra tutti i suoi limiti.
Come ricorda Spolverato, «molte delle norme che ancora oggi regolano il lavoro sono state scritte negli anni ’40 o ’70 del secolo scorso. Sono nate in un contesto in cui l’organizzazione del lavoro rispondeva a logiche quasi militari, fondate sulla catena di comando e sull’esecuzione». Ma il lavoro contemporaneo è tutt’altro: è distribuito, fluido, incerto, attraversato da esigenze di senso, appartenenza e responsabilizzazione.
Il problema, allora, non è solo aggiornare le norme. È ripensare il modo in cui le regole si connettono alla realtà. Spolverato è molto chiaro su questo punto: «Il cambiamento spesso anticipa la regolazione. È accaduto con lo smart working: le aziende lo applicavano prima che fosse normato. E succederà ancora. Le imprese e le persone sono spesso l’avanguardia, la legge arriva dopo».
Il ruolo di chi fa diritto del lavoro, quindi, è diventato ancora più strategico: non più solo difensivo e normativo, ma anche progettuale e abilitante. Serve la capacità di costruire modelli organizzativi e regolatori che riducano i rischi, ma che non mortifichino l’innovazione.
Molte delle norme che ancora oggi regolano il lavoro sono state scritte negli anni '40 o '70 del secolo scorso
Verso il self-management: innovare con le regole, non contro
Una delle direzioni più interessanti che molte organizzazioni stanno esplorando è quella del self-management, ovvero l’autogestione dei team e delle persone, senza una gerarchia rigida, ma con ruoli dinamici, obiettivi condivisi e responsabilità distribuite. In teoria, è un modello che suona ideale per il lavoro contemporaneo. Ma dal punto di vista giuridico – almeno in Italia – la questione è tutt’altro che semplice.
Il diritto del lavoro italiano, infatti, si fonda sul concetto di subordinazione: un lavoratore subordinato, per definizione, è soggetto al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Come conciliare questa premessa con un’organizzazione in cui non ci sono capi, orari fissi o mansioni rigide?
Gianluca Spolverato è tra i pochi professionisti ad aver affrontato la questione in modo pratico. La sua risposta è netta: autonomia e subordinazione non sono in contrasto, se si cambiano le premesse culturali. «Esistono ampi spazi di autonomia anche nella subordinazione. Pensiamo a un dirigente: è formalmente subordinato, ma ha piena libertà su come raggiungere i suoi obiettivi. Il punto è costruire contesti organizzativi dove questa autonomia sia estesa a tutti, senza perdere le tutele».
Una delle esperienze in cui questa visione ha preso forma concreta è proprio quella realizzata in Kopernicana. Qui, il regolamento interno prevede un inquadramento unico per tutti i lavoratori (il cosiddetto “livello K”), con retribuzione fissa conforme al CCNL di riferimento e una parte variabile composta da indennità di ruolo, indennità di progetto e partecipazione alla vita organizzativa. I lavoratori partecipano ai progetti in modo flessibile, dichiarando la propria disponibilità e candidandosi ai ruoli secondo le competenze e l’interesse. Il risultato è un sistema che riconosce le differenze di contributo ed è in grado di premiare il merito e ridurre le diseguaglianze senza ricorrere a una struttura piramidale.
Secondo Gianluca Spolverato, quello sviluppato con Kopernicana è “un testo innovativo, che si pone come punto di incontro tra i princìpi del diritto del lavoro italiano e l’evoluzione dei modelli organizzativi nelle imprese ad alto contenuto di competenze e creatività, restando saldamente ancorato al diritto del lavoro italiano”. Ciononostante, innovare richiede il tentativo di smuovere alcuni paletti e Spolverato lo riconosce quando parla di un modello regolatorio “a rischio controllato”: «Sappiamo che in alcuni punti sono state necessarie delle forzature, ma le abbiamo affrontate in modo consapevole, con l’obiettivo di restare all’interno della legalità e di ridurre al minimo i margini di contenzioso. L’innovazione passa anche da qui». Il risultato finale, che ha richiesto energia, creatività e disponibilità a mettersi in gioco, è “un modello di lavoro post-industriale applicato in forma subordinata, che può fungere da riferimento per realtà che vogliano trattenere talenti e promuovere responsabilità diffusa”.
Un modello regolatorio “a rischio controllato”
Trasparenza come leva di fiducia
Tra i concetti chiave che stanno ridisegnando il panorama organizzativo c’è anche quello della trasparenza. Non solo nei processi decisionali o nei flussi informativi, ma soprattutto nella gestione dei compensi. Un tempo tema tabù, oggi la trasparenza salariale è sempre più vista come leva di equità, responsabilizzazione e motivazione.
Tuttavia, è anche uno degli aspetti che genera più tensione. «Trasparenza – afferma Spolverato – è una parola impegnativa. Chiediamo sempre: qual è il grado di trasparenza che l’azienda è disposta ad avere?». Non basta infatti “aprire” i dati. Serve creare un contesto di fiducia, confronto e maturità, dove ogni persona sia in grado di sostenere – e sostenersi – nel dialogo sul valore e sulla retribuzione.
L’esperienza di alcune organizzazioni – e sì, tra queste ci siamo anche noi – dimostra che è possibile arrivare a un sistema equo e condiviso, dove le persone partecipano non solo ai progetti ma anche alla discussione sui criteri di riconoscimento economico. Qui la trasparenza non è un fine in sé, ma un meccanismo abilitante per costruire fiducia e senso di appartenenza. «Quando le organizzazioni scelgono davvero la trasparenza – sottolinea Spolverato – succede qualcosa di magico: si innesta un circolo virtuoso di fiducia, confronto e maturazione collettiva».
Qual è il grado di trasparenza che l’azienda è disposta ad avere?
Autodeterminazione dei compensi: libertà sì, ma con vincoli condivisi
Tra le pratiche più coraggiose – e culturalmente più dirompenti – introdotte da alcune organizzazioni vi è quella dell’autodeterminazione dei compensi, che Spolverato definisce “una pratica delicata e potente”. La definizione può trarre in inganno, facendo pensare a uno strumento per determinare arbitrariamente e quasi in modo anarchico il proprio compenso. Ma è proprio su questo punto che Gianluca Spolverato invita alla precisione: «Autodeterminazione dei compensi non significa che ognuno si sceglie liberamente lo stipendio. Significa che vengono introdotti meccanismi condivisi, basati su feedback, confronto tra pari e criteri oggettivi quali il budget di progetto, il valore del ruolo, la sostenibilità complessiva dell’organizzazione».
Nel modello regolatorio sviluppato da Spolverato, la retribuzione è composta da una quota fissa – che rispetta i minimi previsti dalla contrattazione collettiva – e da componenti aggiuntive collegate ai ruoli assunti, ai progetti seguiti e alla partecipazione attiva alla vita aziendale. In questo schema, l’autodeterminazione non è arbitrio, ma una forma di corresponsabilità economica: ogni persona contribuisce a determinare il proprio compenso in base al contributo effettivo e nel rispetto dei limiti condivisi.
Il valore di questo approccio non è solo gestionale o giuridico, ma soprattutto culturale. «Quando le persone partecipano alla definizione del proprio compenso – sottolinea Spolverato – iniziano a farsi carico anche della sostenibilità dell’organizzazione. L’autonomia non è solo libertà: è anche responsabilità». Un cambio di paradigma che sposta il baricentro del potere decisionale, ma lo fa in modo regolato, trasparente e negoziato.
L’autodeterminazione non è arbitrio, ma una forma di corresponsabilità economica
Regole e conflitti: quando l’organizzazione diventa adulta
In contesti ad alta autonomia e con un’ampia esposizione alle informazioni, è inevitabile che emergano conflitti, soprattutto in relazione ai compensi, ai ruoli e alla distribuzione delle responsabilità. Ma per Spolverato, non è un problema da evitare. Anzi, è un segnale positivo: «I conflitti non si eliminano con l’autonomia, semmai diventano più visibili. E questo è un bene, se si ha il coraggio di affrontarli».
La gestione dei conflitti, in queste organizzazioni, non può essere lasciata al caso. Richiede criteri chiari di valutazione, metodi strutturati di confronto tra pari e, soprattutto, una cultura organizzativa che legittimi il disaccordo come parte del processo evolutivo. Le regole, ancora una volta, rivestono un ruolo centrale: non per esercitare potere, ma per creare un terreno comune e condiviso, un framework di sicurezza e chiarezza dentro al quale le persone possano esprimere anche le loro divergenze.
I conflitti non si eliminano con l’autonomia, semmai diventano più visibili. E questo è un bene
Nuove generazioni, nuove aspettative
A spingere le aziende verso nuovi modelli organizzativi non sono solo le esigenze di efficienza o innovazione interna, ma anche e soprattutto le trasformazioni culturali e generazionali. I lavoratori e le lavoratrici che oggi entrano nel mondo del lavoro portano con sé aspettative diverse: desiderano più autonomia, più senso, più partecipazione, ma anche un maggiore equilibrio tra vita personale e lavoro.
Come osserva Spolverato, «non è vero che tutti i dipendenti desiderano responsabilità e autodeterminazione. Ma una parte crescente dei lavoratori della conoscenza – in particolare nel digitale – reclama libertà, trasparenza, modelli agili e condivisi». Non si tratta più solo di una questione contrattuale o economica: è un’evoluzione profonda del rapporto tra persona e impresa.
Il rischio per le organizzazioni che non ascoltano queste nuove esigenze è evidente: perdere attrattività, talento, vitalità interna. Il potenziale, però, è enorme. Perché quando l’impresa è capace di offrire contesti di lavoro coerenti con queste nuove sensibilità, diventa un luogo in cui le persone possono esprimere sé stesse e contribuire attivamente alla costruzione del valore.
Ed è proprio qui che diritto del lavoro e innovazione organizzativa si incontrano. Perché il futuro del lavoro non può essere lasciato solo all’evoluzione spontanea dei modelli aziendali o alla spinta dei singoli. Serve una cornice, una visione, una capacità di accompagnare il cambiamento con strumenti giuridici adeguati.
Il futuro del lavoro non può essere lasciato solo all’evoluzione spontanea dei modelli aziendali o alla spinta dei singoli
Il futuro del lavoro subordinato
Queste considerazioni portano inevitabilmente a una domanda cruciale: che futuro avrà il lavoro subordinato, così come lo conosciamo?
La risposta è sfumata, ma chiara: il lavoro subordinato non scomparirà, ma sarà chiamato a evolvere profondamente. Resterà la forma prevalente in molti ambiti, soprattutto nei contesti più strutturati. Ma nei settori a più alto contenuto di conoscenza e creatività, si affermeranno sempre di più modelli ibridi dove la subordinazione formale convive con livelli crescenti di autonomia.
«L’innovazione non si fa solo con la tecnologia – conclude Spolverato – ma anche con le strutture. Le aziende più innovative saranno quelle capaci di attrarre persone che cercano un’organizzazione coerente con i propri valori: partecipazione, responsabilità, libertà. Il modello tradizionale resterà, ma dovrà dialogare con queste nuove esigenze».
Il lavoro subordinato non scomparirà, ma sarà chiamato a evolvere profondamente
Piegare le regole, non spezzarle
La sfida del lavoro contemporaneo non è abolire le regole, ma riuscire a piegarle senza spezzarle. Legare l’innovazione organizzativa a una struttura regolatoria solida non solo è possibile, ma è necessario se si vuole garantire sostenibilità, equità e tutele anche nei modelli più avanzati.
L’esperienza di Kopernicana – così come il pensiero e la pratica di Gianluca Spolverato – dimostra che è possibile costruire organizzazioni nuove, responsabili, fluide, ma pienamente legittime dal punto di vista giuridico. Un lavoro che richiede intelligenza progettuale, coraggio culturale e visione sistemica.
E se è vero che ogni rivoluzione ha bisogno delle sue parole, forse oggi una delle più importanti è proprio questa: fiducia. Nelle persone, nei processi, ma anche nella possibilità che le regole cambino insieme al mondo che vogliono regolare.
"Fiducia"

Francesco Frugiuele – Quanto vale il tuo lavoro? Verso un modello di retribuzione equo e autonomo
Nel podcast Future4Work, Francesco Frugiuele affronta con Luna Esposito, giornalista di Will Media, uno dei temi più delicati e trasformativi nel self-management: la possibilità per le persone di partecipare attivamente alla definizione del proprio compenso. In un contesto che sovverte il paradigma tradizionale della subordinazione, il denaro diventa non solo mezzo di scambio, ma indicatore di equità e leva di corresponsabilità.
La conversazione si muove su questi temi:
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Autonomia economica come leva trasformativa
Il compenso diventa espressione di responsabilità, non solo di riconoscimento. -
Fine della subordinazione classica
Si supera il paradigma “padrone/lavoratore” verso modelli più equi e orizzontali. -
Trasparenza retributiva
Un tabù da superare per costruire fiducia e legittimare il confronto sul valore. -
Processi condivisi e vincoli sostenibili
L’autodeterminazione non è arbitrio: si basa su criteri oggettivi e sostenibilità collettiva. -
Esperienze e modelli innovativi
Dal caso Kopernicana alla proposta di accordi integrativi accanto al CCNL. -
Sfida culturale
Il denaro come “ultimo tabù”: affrontarlo è il primo passo per evolvere le organizzazioni.