Leadership e cambiamento

venerdì 4 aprile 2025

8 minuti

Leadership e cambiamento

Un dialogo tra Matteo Sola Andrea Farè e Alberto Gangemi

Cosa significa oggi parlare di leadership? In questo dialogo tra Matteo Sola, Andrea Farè e Alberto Gangemi c’è una visione critica e rigenerativa: la leadership muscolare e carismatica è spesso sintomo di organizzazioni immature, incapaci di evolvere da sole. Al contrario, la sfida contemporanea è costruire sistemi forti – non leader forti – capaci di distribuire l’autorità, sostenere il cambiamento e creare spazi strutturati ma abilitanti

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La leadership è in crisi?

Complessità crescente, cambiamento continuo, centralità delle persone, gestione delle diversità, empatia e ascolto, coinvolgimento e delega, riduzione della gerarchia e trasferimento del potere verso il basso.
Il discorso attorno alla leadership ha seguito questa traiettoria negli ultimi anni, sbandierata e riproposta con forza ai quattro venti.
I recenti avvenimenti a livello politico, da un capo all’altro del globo, vedono ripresentarsi un modello di leadership alquanto diverso e sicuramente controverso.
Reazione? Riequilibrio rispetto ad esagerazioni, buonismo e opposto estremismo su alcuni temi? Semplice presa di coscienza di una realtà che esiste e che resiste in senso opposto? O ancora, ancoraggio per la sicurezza delle psicologie di massa in tempi incerti?

Ma soprattutto: parlando non di politica ma di organizzazioni, quali sono le conseguenze e gli impatti di tutto questo?Per parlarne, due voci originali dall’universo Kopernicano: Alberto Gangemi, guru del design organizzativo e autore di “Organizzazioni Aperte” e Andrea Farè, grande esperto di self management e organizzazioni evolutive. 

Recenti avvenimenti a livello politico vedono un modello di leadership alquanto diverso e sicuramente controverso

Per entrambi – come vi sentite in questo momento storico? È un bel momento o un momento problematico per chi si occupa di cambiamento nelle organizzazioni?

AF Ho una doppia sensazione. Da un lato gli equilibri mondiali alterati mi preoccupano (US in chiusura, AI in evoluzione, EU dall’altro lato ecc), dall’altro tutto questo può farci riflettere molto sul versante del cambiamento e vedo diversi parallelismi utili in azienda. Una cosa interessante è che la politica mi sembra essere più indietro rispetto ai paradigmi che si stanno diffondendo nelle aziende.
Rimango personalmente positivo, anche perché i trend reali si sviluppino sul lungo termine. 

AG Credo che sia effettivamente un buon momento e un pessimo momento in contemporanea. Abbiamo la messa in scena di una leadership mondiale e politica da un lato e bisogni e aspettative delle persone che sembrano andare in un’altra direzione. Il primo film a cui stiamo assistendo sembra un ritorno al passato, ma soprattutto questa separazione tra bisogno di organizzazione e partecipazione, di responsabilizzazione diffusa etc, da un lato e risposte (mancate) della politica, della leadership e dell’economia dall’altro è un problema. È un buon momento per capire come dare risposte diverse e portare un impatto in tal senso, sul piano della pratica ma anche dei valori a cui appellarci.

La politica è più indietro delle aziende ma è un buon momento per dare risposte diverse

A proposito di leadership, Alberto, siamo in crisi anche nelle organizzazioni e se sì, quale crisi?

AG – La sensazione è che in effetti ci sia stata molta retorica e forse persino ipocrisia nel cavalcare una presunta onda positiva (empatica, inclusiva ecc) sulla leadership in questi ultimi anni.
Detto questo per me è difficile trovare buone leadership se le organizzazioni sono deboli e in tal senso vedo una diffusa crisi delle organizzazioni che alimenta poi leadership negative.
In altre parole, un certo tipo di leadership è sintomo della mancanza di strutture sane, di regole sane etc.
Serve un sistema più forte – non una leadership forte – cioè in grado di distribuire e bilanciare il potere. Le persone in azienda chiedono partecipazione, libertà e un cambiamento che una leadership aziendale saggia dovrebbe poter gestire e favorire. 

Un certo tipo di leadership è sintomo della mancanza di strutture sane

Andrea, sentiamo parlare spesso di leadership forte, carismatica, muscolare. Quando può essere utile in azienda, se è considerabile come utile e quanto è sicuramente nociva?

AF – Se un’organizzazione ha bisogno di una leadership forte, probabilmente – concordo – anche l’organizzazione è carente. La politica ci ricorda che vi è sempre un mercato da tenere in considerazione, dove i vari soggetti tendono a farsi i fatti propri se non vi sono vincoli di struttura reali.
Nei sistemi organizzativi tradizionali e gerarchici, senza una leadership forte spesso il cambiamento non avviene e questo è un sintomo della sua arretratezza.
Questo perché i sistemi “immaturi” non hanno meccanismi intrinseci di rinnovamento: ecco perché serve in questi casi avere una leadership più incisiva, nella speranza che sia illuminata e in quel caso effettivamente in grado di imporre nuove regole, potenzialmente anche molto positive. Un sistema lascia che questo accada se non è buono o richiede persino che accada per sbloccarsi, sempre con una dimensione di rischio connessa.  

Se un’organizzazione ha bisogno di una leadership forte, probabilmente anche l’organizzazione è carente

Alberto, come non chiederti una definizione di “Organizzazione Aperta” dal punto di vista delle leadership: di cosa stiamo parlando? Di quale stile di leadership abbiamo più bisogno oggi non solo nel presente ma sul medio e lungo periodo?

AG – Il punto di partenza è l’apertura intesa come “adattività” e di fatto cambiamento: le “Organizzazioni Aperte” sono pensabili sempre dentro un concetto di limite. Se le regole del gioco e i limiti spariscono, sparisce anche l’equilibrio di ogni sistema complesso di riferimento.
Abbiamo bisogno, dentro organizzazioni che vogliono sprigionare tutte le potenzialità delle persone, di leader che sappiano capire ed interpretare, persino difendere, alcuni concetti di limite, regola e struttura: quella struttura che rende il gioco per tutti come uno spazio possibile.
Non pensiamo ai massimi sistemi. Un esempio pratico è la struttura di un meeting, di un processo anche micro e quotidiano che ci fa entrare in relazione con gli altri.
Dobbiamo continuare ad educarci in tal senso, perché spesso come esseri umani non siamo abituati a difendere queste regole, siamo più portati a prevaricare.
Dobbiamo lavorare, forse in modo contro-intuitivo, su come non procedere per eroismi ma diventare capaci di costruire strutture abilitanti, in cui il leader lungi dall’essere un protagonista, è al servizio e “scompare” rispetto agli altri.

Dobbiamo lavorare, forse in modo contro-intuitivo, su come non procedere per eroismi

Andrea, a proposito di Elon Musk e del suo particolare stile di gestione aziendale come imprenditore e come leader (non ci interessano in questa sede i suoi versanti prettamente politici), avendo approfondito molto il tema, cosa noti? Quali possono essere i pregi e i limiti?

AF – È interessante il suo approccio al rischio. Di fatto si occupa di molte aziende diverse che tendono a funzionare bene nonostante i suoi approcci apparentemente molto radicali.
Come leader, nella forma di imprenditore, ha la capacità di tenere alto il livello e di entrare quando serve nel dettaglio. Non è un CEO tradizionale, ma un personaggio che si alza la mattina per intervenire dove serve mettendosi a fianco della persona sul campo e muovendosi verticalmente nel contesto aziendale.
Inoltre tende ad “asciugare tutto”, ottimizzare, tenere l’essenziale, mettendo in discussione l’esistenza del management stesso al fine di velocizzare ed automatizzare il lavoro fino a che è possibile.
Un approccio che applica a quello che fa, ma anche al “come lo fa” a livello organizzativo, rendendo il lavoro più liquido ed innovativo, basato su team fluidi, coordinati attorno ai dati e abilitati dall’AI.
I limiti invece stanno probabilmente nella tendenza a creare organizzazioni apparentemente elitarie e solo per top-player, con uno scollamento marcato dal ruolo sociale dell’azienda stessa che dalle nostre parti tendiamo a vedere o ad aspettarci da un’organizzazione che deve produrre ma anche essere una casa per qualcuno, che deve dare sicurezza e accogliere le persone.
Un team di soli “fenomeni” fa fatica ad essere per tutti e tutte e sulla base di questa visione non è una caso che la DEI venga concettualmente respinta. Poi dovremmo probabilmente interrogarci sul profilo della sostenibilità, perché se vai a vedere nella realtà scopri che si crea un ambiente tossico anche per queste persone, dove i tassi di burnout sono molto alti. E nonostante questo, post burnout, tanti tornano a lavorare nelle aziende di Musk e i rating delle stesse su Glassdoor sono comunque nella media. Ci sono sicuramente elementi contraddittori e relativi su questo lato alla capacità di fare squadra e dare sfide stimolanti, che meritano approfondimento.

Parliamo anche di Elon Musk, sì

Alberto, quali sono i valori di un contesto “umano” che oggi forse è utile riaffermare, non tanto per buonismo (anche se un certo senso etico forse nella gestione aziendale dovremmo riaffermarlo) quanto per un concetto di “salute” sia delle organizzazioni che del business che portano avanti?

AG – Siamo ad un punto dell’evoluzione sia dell’uomo che del pianeta in cui forse anche il concetto di umano non è più sufficiente. Dovremmo riconoscere il fatto che siamo fatti sia di “pezzi umani” che di “pezzi non umani” e che di conseguenza dobbiamo prenderci cura anche di ciò che è attorno a noi in quanto oggetti, strumento, dato ecc.
Non dobbiamo metterci sulla linea di un conflitto tra umano ed artificiale, mentre è opportuno ragionare su un’estensione ed inclusione ancora più ampia dei diritti di rappresentanza a ciò che ci circonda, verso il concetto di “sistema ibrido”.
Detto questo, ci rende e mantiene umani l’apprendimento, la condivisione del sapere e dell’esperienza, anche in presenza di un ambiente fatto in parte di macchine, AI, così come di persone ed organizzazioni.
Inoltre, ci rende umani la diversità, la ricchezza intesa come ridondanza.
Semplificare alla Musk è utile a tratti, ma rischia di trascurare l’innovazione e il cambiamento che emergono anche dal caos e dal disordine. Si dimentica che ogni organizzazione e ambiente ha bisogno di cose diverse (per cui ad esempio comparare politica e istituzioni con le sfide imprenditoriali è pericoloso e mette in crisi regole fondamentali, facendo danni gravi),  e che non esistono algoritmi universali applicabili ovunque.
Infine, l’esercizio dell’autonomia e dell’indipendenza personale. Organizzazioni umane e ibride del futuro hanno bisogno non di controllo e riduzione dello spazio di azione, ma della loro protezione, anche a costo a volte di essere inefficienti.  

Organizzazioni umane e ibride del futuro hanno bisogno non di controllo e riduzione dello spazio di azione, ma della loro protezione

Andrea, a proposito di self management, come possiamo bilanciare il decentramento del potere, la crescita dell’autonomia dei team e delle persone con l’esigenza di avere una direzione chiara, un centro saldo e la capacità di far accadere le cose realmente? Quale è il segreto?

AF – Spesso in questo ambito vediamo una polarità per cui il decentramento ci sembra simile alla “democratizzazione”, ma in realtà non è così: è l’effetto della distribuzione del potere che prima era centrale o gestito solo dall’alto in sotto-autorità, su domini più circoscritti.
È un controllo diverso su un dominio più piccolo come territorio, in cui però potrebbe essere esercitato addirittura come potere assoluto ed individuale, in alcuni casi.
Tutto questo per dire che una leadership forte può coesistere in un contesto altamente distribuito, partecipato e regolato nei meccanismi appunto di distribuzione di questa autorità. Tutto questo crea la vera autonomia e un’organizzazione che vede la presenza di uno o più centri di senso e che potenzia la capacità di far accadere le cose a diversi livelli come se non più di prima.
Il punto chiave è bilanciare questa o queste autorità distribuite con dei meccanismi di controllo altamente partecipativi, che possano metterla sempre in discussione, in un processo che si auto-ottimizza nel tempo.

Il punto chiave è bilanciare questa o queste autorità distribuite con dei meccanismi di controllo altamente partecipativi

Per entrambi: come Kopernicana si muove con i propri clienti in questo scenario delle organizzazioni contemporanee? Quale è la sua cifra distintiva?

 

AGCi distingue sicuramente il fatto che tanti parlino di questi temi, mentre noi cerchiamo di fare le cose sul terreno dei comportamenti, delle pratiche e delle abitudini che contribuiscono a cambiare le cose a livello ecosistemico.
Portiamo pratiche di ridistribuzione dell’autorità, di attivazione della responsabilità, di abilitazione del funzionamento di sistemi complessi e di leadership nuove.
Così come le democrazie non sono solo nazionali, ma sono fatte di comuni e quartieri, noi agiamo ad ogni livello dell’organizzazione.

AF Ce ne sono tante, ma in primis facciamo con altri le cose che proviamo su noi stessi, altra cosa rara nel nostro campo.
Ci avventuriamo in un mondo complesso in cui le ricette standard non esistono e sono tante invece le alternative da sperimentare per trovare la strada giusta per ogni azienda. Sappiamo calarci al livello di consapevolezza dell’interlocutore e decidere insieme quale sia il prossimo passo o salto e come c’è bisogno supportare in termini di soluzioni nuove o pattern che abbiamo già sperimentato. Co-creazione e utilizzo di strumenti si combinano per attivare un cambiamento reale.

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