Ho incontrato gli OKRs prima di entrare in Kopernicana, ma non li avevo mai usati attivamente.
La prima volta che li abbiamo scritti in Kopernicana – siccome ho la sindrome della perfezionista – non volevo fare la figura di quella che non ne sapeva praticamente niente e per nulla al mondo avrei chiamato Francesco Frugiuele per confessare la mia ignoranza.
Ho cercato su internet, ho letto qua e là, e ho pensato: ma è facilissimo!
Mi son guardata qualche articolo su Medium, cercato qualche sito interessante, trovato un cheat sheet da cui copiare un po’, e ho mandato la mia proposta di OKRs per il trimestre successivo.
Qualche giorno dopo, un sabato mattina tornando dal mercato – avevo i sacchi della spesa per le mani – mi chiama Francesco.
Per dirmi che negli OKRs non scrivi le cose da fare, ma i risultati! I risultati che ti aspetti di ottenere.
Con la mia conoscenza coltivata là dove “mi sembrava facilissimo” mi ero limitata a fare una bella to do list di cose da fare.
E così, mentre sul marciapiede di via Inganni tenevo i sacchi pieni di sedano, carote, mele e cetrioli per la centrifuga, con Francesco che cercava ancora di farmi capire, nel cervello mi si è accesa la lampadina. Risultati!
Sapete quando alle scuole medie si impara la differenza tra significato e significante?
Fino a quel sabato la parola risultati non mi aveva mai particolarmente colpito: forse l’avevo sempre associata alla matematica.
Risultati. Nel tentativo (disperato) di Francesco di farmi capire cosa non avevo capito degli okr, improvvisamente ho visto il senso della parola, e quindi del rituale, del metodo.
Fare cose è ok. Ma la cosa importante è capire se queste cose poi ottengono risultati.
In quel momento, in un mattino di primavera tra le case popolari di Milano, e nel lampo di una consapevolezza sintattico grammaticale, è nato un grande amore.