Vi sembrerà una cavolata che questa riflessione abbia scelto come titolo una tale tautologia. Ma ormai mi conoscete, sono una “precisetta”.
Lo specifico perché siamo soliti pensare di avere degli appuntamenti ricorrenti in azienda, ci piace raccontarcelo, ma spesso sono eventi che perdono immediatamente di importanza quando arriva una richiesta dal cliente, da un superiore, quando c’è un’emergenza di progetto.
E invece, i rituali sono rituali.
Sono caratterizzati da abitudine, da un calendario sempre definito e chiaro, e da un preciso protocollo che li contraddistingue rispetto a tutti gli altri momenti della nostra vita.
Ci sono rituali di tanti tipi, quelli di cui parleremo oggi sono quelli che hanno cominciato a vedersi nelle organizzazioni – soprattutto quelle legate alla produzione tecnologica – e che si stanno diffondendo grazie alle pratiche “Agile”.
Sono dei modelli di incontro (qui comincerei tutto un giro sul concetto di incontro, sul fatto che sia online od offline, ma ve lo risparmio… per ora), dicevo.
Sono dei modelli di incontro con lo scopo di far avverare delle conversazioni in diversi e precisi momenti della vita dell’organizzazione.
La nota dolente di ogni organizzazione è che il tempo manca sempre. E quando dico “di ogni organizzazione” intendo proprio di tutte: il tempo è la risorsa più preziosa, decidere come usarlo è strategico e in alcuni casi vitale.
In ciascuno di questi contenitori avvengono delle cose.
In modo che l’organizzazione risolva la propria necessità di allineamento e generatività, e allo stesso tempo possa usare al meglio il proprio tempo. Soprattutto, sono contenitori che valorizzano l’autonomia di gestione: le persone condividono le informazioni, e ritornano alla loro quotidianità: rendono tutti capaci di prendere decisioni, dopo aver condiviso come stanno andando le cose.
Il modello Agile ha portato rituali brevissimi (addirittura in piedi), quotidiani, come gli stand up meetings, nei quali ci si confronta sulle attività del giorno, ciascuno ha pochi minuti per presentare la situazione, con l’obiettivo di allinearsi su dati, tattica, progetti, produzione ecc.
Ci sono eventi settimanali, di allineamento sui contenuti. C’è il friday celebration meeting, che serve a celebrare i risultati ottenuti dal team (e magari termina con un momento conviviale).
Ci sono eventi mensili, come le retrospettive: momenti di riflessione su quanto accaduto, su quale attività ha portato maggiori risultati, su quale invece non ne porta, su cosa modificare, cambiare, e così via.
Se sono momenti importanti per aggiornarsi sull’andamento dei progetti, non potete immaginare quanto siano di valore per l’andamento della strategia: quando si implementano gli OKR in organizzazioni che hanno già dei rituali codificati.
Nelle riunioni più brevi, come gli stand up o i meeting settimanali/bisettimanali, si condividono i risultati, si osserva come le iniziative stanno impattando sul raggiungimento dei KR. Negli incontri di retrospettiva si valuta il grado di raggiungimento dell’Obiettivo, lo si ridiscute, lo si riscrive o lo si riprogetta.
Un altro contributo trasformativo che questi rituali portano alla nostra cultura è la considerazione del fallimento. Inteso proprio come concetto.
Grazie alla ritualità, all’incontro frequente, alla conversazione e al fatto che ci si basa su dati, il mancato raggiungimento di un risultato non ha un valore in sé negativo. La retrospettiva è un’occasione di trasparenza e apprendimento, un momento per discutere di cosa fare per risolvere le aree critiche che emergono nella quotidianità.
Prendetela così: la retrospettiva è uno strumento oggettivo per prendere decisioni “data oriented”, ad esempio per chiedere nuove risorse, persone, strumenti…
L’organizzazione ci chiede decisioni oggettive, basate sui dati. I colleghi ci fanno richieste oggettive, cosa c’è di meglio se non basare domande e risposte su dati. I nostri team chiedono occasioni di allineamento, condivisione, riflessione.
Insomma. I rituali sono rituali.
Sono un esercizio di costanza, che però richiede poco tempo a grande valore aggiunto.
In pochi minuti alla settimana rischiano di contribuire a cambiare la cultura aziendale, e a crescere.