Scorrendo i nomi delle aziende premiate dalla GenZ nella classifica Great Place to Work, ripensiamo a quando realizzammo lo Speciale dedicato alle Generazioni e sale una gran voglia di andare a intervistare tutte e 20 le realtà.
Basta un post sul nostro canale Slack e immediatamente arrivano un po’ di contatti. Il primo è quello di Paolo Platter, CTO and Co-Founder of Agile Lab che si è piazzata benissimo nella classifica dei “più amati dalla Gen Z” in base a parametri come Credibilità, Rispetto, Equità, Orgoglio e Coesione.
Fondata nel 2013, Agile Lab è specializzata nel campo dell’Ingegneria del dato e opera attraverso tre service line – data strategy, costruzione di piattaforme dati e gestione delle relative infrastrutture – per ottimizzare i processi di business data intensive. Ha un organico di quasi 200 persone e nel 2022 Poste Italiane ha formalizzato l’acquisizione di una partecipazione di maggioranza del 70% nel gruppo.
Qualche anno fa, con il supporto dell’allora Leapfrog, ovvero Andrea Farè e Demetrio Labate, Agile Lab ha affrontato una trasformazione organizzativa, approdando al Self management.
Ed è da qui che inizia la nostra chiacchierata.
Paolo, nell’indagine che è alla base della classifica GPTW non ci sono cluster specifici sul modello organizzativo. Si parla però di Credibilità, Rispetto, Equità, Orgoglio, Coesione, diciamo temi “tangenti”. Quanto conta il vostro modello nell’ottenere risultati di gradimento interno?
Credo parecchio. Il fatto che diciamo esplicitamente di adottare un modello organizzativo che si basa su determinati principi di fatto rende questi principi strutturali in qualunque azione venga fatta all’interno all’interno dell’azienda. Non dipende solo dalla volontà o dalla predisposizione delle persone che ci lavorano dentro, insomma.
Diciamo che puoi ottenere gli stessi risultati di Agile Lab avendo in azienda persone che sono molto attente a essere trasparenti, a comunicare, a dare spazio all’ascolto, eccetera, eccetera… ovvero tutta una serie di cose che alla generazione Z è dimostrato che piacciono e alle quali tiene. Puoi raggiungere quegli stessi risultati avendo molta attenzione interna a tutta una serie di fattori oppure, e questo è il nostro caso, avendo un modello organizzativo che mette nella propria base questi principi. Il vantaggio, enorme, è che, una volta implementato, è il modello stesso che ti porta in quella direzione, generando una predisposizione naturale all’ascolto e all’inclusione.
L’alternativa è scegliere di dover trasmettere quei principi quotidianamente, costantemente, con un effort che è anche mentale e cognitivo non da poco. Oltretutto lo puoi fare solo fino a una certa dimensione perché poi o ti circondi solo di persone che hanno la tua stessa indole -e che quindi lo fanno al posto tuo- oppure lo devi “strutturare” in una maniera un po’ più profonda.
Una volta implementato, è il modello stesso che ti porta in quella direzione, generando una predisposizione naturale all'ascolto e all'inclusione
Le persone che arrivano in Agile Lab quanta consapevolezza hanno di ciò che troveranno?
Abbiamo un handbook pubblico che contiene ed esplicita tutte le regole dell’azienda, incluso anche il modello organizzativo. Diciamo che, chi si informa, lo sa. Facciamo anche parecchia comunicazione esterna. Abbiamo una funzione, employer branding, che si occupa di raccontare fuori come funzioniamo dentro. Di sicuro, poi, nella prima intervista, quella con i recruiter, viene spiegato il modello in modo che chi si candida per una posizione sia del tutto informato. Poi sì, capita di assistere a reazioni differenti ed è curioso perché lo vedi da subito se una persona è adatta o si sente “scomoda”. Se si è impostati sul Dimmi cosa devo fare e lo faccio si farà poi fatica a trovarsi a proprio agio dentro questo tipo di modello.
Se si è impostati sul Dimmi cosa devo fare e lo faccio si farà poi fatica a trovarsi a proprio agio dentro questo tipo di modello
Muoviamoci tra teoria e pratica, aspettative e realtà: cosa accade durante l’onboarding?
Abbiamo una settimana di onboarding in cui c’è un Buddy, che è una persona molto senior in azienda, che ti introduce a tutte quelle che sono le regole dell’organizzazione, incluso il Self Management. Quindi ti invita come ospite in uno/due meeting di varie cerchie, così vedi come come si svolgono anche i meeting. Questo aspetto, a prescindere dal modello organizzativo, è una best practice generale. Anche se non ci fosse il Self Management mi preoccuperei di spiegare per bene come funziona l’azienda, a chi ci arriva.
Anche se non ci fosse il Self Management mi preoccuperei di spiegare per bene come funziona l'azienda
E poi arriva il lavoro, il quotidiano. Tornando alla Gen Z della classifica: fino all’università vive in un assetto piuttosto simile a quello che abbiamo vissuto noi. Poi arriva nel mondo del lavoro e trova un’azienda come la vostra. Nella tua esperienza, qual è la reazione?
Durante i tuoi primi 25 anni di vita cresci con il retaggio dei tuoi genitori, dei tuoi nonni e di tutti gli adulti che tu senti parlare di lavoro. E quando li senti parlare, li senti parlare di aziende che funzionano o NON funzionano in una determinata maniera, magari anche stereotipata. Cresci, insomma, pensando che le aziende possano essere solo così, perché è l’unica cosa che ti viene raccontata.
In più, siccome la percentuale di aziende che si organizzano diversamente è 1 su 1000, è altamente improbabile che tu ne possa incontrare una nel tuo percorso. Quindi sì, talvolta c’è stupore. Però devo dire che c’è entusiasmo almeno per chi si appassiona, per chi vuole creare un impatto. A me fa ancora un certo effetto quando qualcuno dice No ma non ci posso credere! È bellissima questa cosa! Persone entusiaste perché vedono la possibilità di creare un impatto che in un altro modello organizzativo non sarebbe loro permesso se non fra 10-15 anni. Poi c’è anche chi non gliene importa assolutamente niente e va bene anche così, c’è chi si interessa con passione alla sfera organizzativa e chi no. Chi si interessa, però, trova un aggancio molto molto potente da noi. Ma, per esempio, non è obbligatorio stare all’interno di una cerchia, non non tutti hanno un ruolo in azienda ed effettivamente creiamo solo i ruoli che servono. Non creiamo ruoli solo per avere qualcuno che stia dentro al meccanismo. Quindi se vuoi puoi starne anche un po’ “fuori”.
C'è entusiasmo almeno per chi si appassiona, per chi vuole creare un impatto
La classifica vi premia anche sul fronte DEI. Avete risolto anche il conflitto generazionale in azienda?
Non vedo scontri generazionali se non in pochissimi casi dove magari si incrociano percorsi professionali totalmente opposti. Stiamo parlando però di persone di 60 anni e di chi ne ha 25. Mi stupirei quasi del contrario, del fatto che non ci fosse un po’ di scontro generazionale.
Mi stupirei quasi del contrario, del fatto che non ci fosse un po' di scontro generazionale
Agile Lab non nasce con un modello self managed ma si trasforma, a un certo punto della propria storia. E lo fa tutto sommato abbastanza presto. Come ci siete arrivati e come avete vissuto questa trasformazione?
Noi siamo nati nel 2014 e ci siamo trasformati nel 2017. Ci siamo trasformati quando eravamo ancora abbastanza piccoli. All’epoca eravamo una quarantina di persone. Adesso siamo quasi 200. Partiva ovviamente da una volontà dei founder. Ci siamo affidati a chi aveva la possibilità e la capacità di guidarci e in questo senso Demetrio Labate e Andrea Faré (ndr all’epoca con Leapfrog) sono stati molto bravi nel creare il contesto giusto. Praticamente la decisione di trasformare l’azienda l’ha presa il gruppo, non io e il mio socio (ndr Alberto Firpo, attualmente Chief Technology Officer). Abbiamo proposto questa trasformazione però poi abbiamo fatto prima un percorso di sperimentazione e poi abbiamo lasciato decidere a un gruppo di una decina di Key People, che avevamo coinvolto in questo esperimento. Avendo preso loro questa decisione sono diventati internamente Ambasciatori della Trasformazione. Non è stata calata top down e questo ha avuto un effetto chiaramente molto, molto positivo. Quelle persone sono ancora in azienda e sono tra i più grandi pusher del modello.
Ci siamo trasformati quando eravamo ancora abbastanza piccoli. All'epoca eravamo una quarantina di persone
Prima citavi l’handbook, che è una delle modalità con le quali si diffonde una cultura organizzativa. Ma sappiamo anche che il Self Management è un continuo movimento. Con quale frequenza aggiornate l’handbook e manutenete l’organizzazione?
In continuazione! L’handbook totalmente iterativo e appena qualcuno vede delle piccole inconsistenze può metterci mano in un lavoro collaborativo, così come può mettere mano all’organizzazione. Nell’handbook noi abbiamo scritto come funzionano i processi. Mentre su Holaspirit abbiamo le cerchie, i ruoli, le accountability. Quindi queste cose vengono modificate lì. Anche queste, in continuazione. Facciamo una Governance al mese in tutte le cerchie. Man mano che i processi si evolvono, perché cambiano, l’azienda cambia, cresce… e noi sì, teniamo tutto molto aggiornato.
Ci trasformiamo in continuazione
Lavorare in un’azienda dove si fanno le Governance, nella quale tutto si fonda su autonomia e responsabilità ha, secondo te, un riflesso sulla “cittadinanza” della GenZ, alla quale spesso imputiamo un distacco?
Non saprei dire. Ma penso che se ci fosse sarebbe un impatto fantastico. Comunque vedo persone ingaggiate, è una cosa alla quale effettivamente prestare attenzione.
Se ci fosse un impatto anche sull'essere cittadini, sarebbe un impatto fantastico
Parliamo di stipendi e crescita. Come funzionate?
Da noi è tutto in chiaro. Quindi livelli, retribuzioni, aspettative per ogni livello. Il nostro modello retributivo, almeno per quanto riguarda la parte di ingegneria, riguarda la mansione principale che tu ricopri. In sostanza la valutazione è su quanto sei bravo/a nella tua mansione principale. Quindi non c’entra quanti ruoli ricopri al di fuori della tua mansione principale anche perché nessuno di noi vorrebbe che una persona ricoprisse dei ruoli solo perché viene pagata di più. Sarebbe un po’ un controsenso, nel nostro modello. L’unica cosa che abbiamo fatto, però, è inserire dei livelli. Tu parti da engineer 1 poi scali a engineer 2, poi a engineer 3, man mano che ti muovi verso l’alto. Utilizziamo alcune “voci” che enfatizzano il tuo impatto a livello Company, impatto che puoi generare avendo più ruoli, che chiameremo cross-funzionali.
In sostanza la crescita in azienda si muove in base a qual è il tuo impatto cross-funzionale all’interno dell’organizzazione: hai la tua mansione principale, puoi diventare un bravissimo engineer, però a un certo punto devi dimostrare che sei in grado di creare qualche impatto anche sul Marketing o sul Sales o sui processi interni. Cerchiamo di invogliare a questa cross-funzionalità inserendo queste voci nel percorso di crescita e nel percorso di carriera.
Un esempio? Un ingegnere che ha un impatto sul marketing perché scrive contenuti per il marketing e questi contenuti diventano virali nella nostra Community e vengono apprezzati, ha un impatto cross-funzionale. L’ingegnere che si occupa di preparare bandi di gara e su quattro bandi di gara ne porta a casa due generando un impatto lato Sales, ha a sua volta un impatto cross-funzionale. Per passare al livello successivo devi dimostrare i tuoi achievement, semplicemente.
Da noi è tutto in chiaro
Raccontaci meglio questa dinamica di crescita in azienda.
Tutte queste attività cross-funzionali sono tracciate su un sistema. Ognuno ha un file sul quale tiene traccia dei propri achievement. Arriva poi un momento in cui si va con questo file davanti a una “commissione”, portando una mini-tesina in cui si racconta ad altre persone dell’azienda, che magari proprio non ti conoscono professionalmente, quali sono i tuoi achievement e perché sono considerati pertinenti rispetto al livello al quale vuoi essere promosso. Ogni persona ha un suo coach, quindi qualcuno che aiuta a fare il percorso di carriera e che in sostanza ti dice anche quando sei pronto per fare questo pitch. Nella commissione c’è il tuo coach di riferimento ma c’è anche il coach del tuo coach -una persona che è un po’ più in là nel nel percorso professionale- e tu puoi portare due peer quindi due persone che lavorano con te e che sono i tuoi “testimonial” perché supportano e portano in qualche maniera un tuo punto di vista. Vengono poi selezionate altre due persone a caso, che siano almeno di un certo livello in azienda. In questo modo non è solo una persona che decide se tu puoi essere promosso oppure no ma c’è una sorta di “comitato” che garantisce massima trasparenza. Devo dire che da quando abbiamo inaugurato questo sistema tutti hanno sviluppato un’incredibile attenzione alla correttezza. Il coach non porterebbe mai avanti qualcuno che non è ancora pronto solo perché gli è simpatico, gli altri darebbero immediatamente un feedback negativo in una dinamica di sistema che si mette al riparo.
Devo dire che da quando abbiamo inaugurato questo sistema tutti hanno sviluppato un'incredibile attenzione alla correttezza
Contano più i Feedback interni o le classifiche?
Facciamo survey interne periodiche in cui collezioniamo input. Sono mirate, utili, personalmente sono quelle che guardo. Great Place to Work è comunque una forma di indagine importante, sicuramente meno granulare di quelle che servono a noi per muoverci all’interno del nostro cambiamento. Ma è un segnale esserci. Dal nostro lato, quando arriva il momento di rispondere al questionario proviamo a non fare alcuna pressione interna, lasciamo che le cose vadano. Per ora sono andate bene.
Contano più i Feedback interni o le classifiche?
Come scalerete la classifica conquistando definitivamente la GenZ?
Quella del Work Life Balance è l’istanza più sentita. Parliamo di settimana corta, benefit per andare in vacanza, tutte cose che sottendono la voglia di avere “più vita e meno lavoro”, volendo semplificare una cosa ben più complessa. Per le aziende non so quanto sia sostenibile economicamente, varia molto in base a ciò che fai. Ti faccio un esempio: la settimana corta, per noi che siamo un’azienda di consulenza che fattura il tempo, significa pagare le persone la stessa cifra e farle lavorare un giorno in meno. Vuol dire perdere il 20% del fatturato e andare in default. Sappiamo che non è per noi. Di contro ci sono aziende di prodotto, banche, assicurazioni che possono ampiamente permetterselo. Dal punto di vista di business model, potendolo fare, scommetterei tutto su quello.
Noi, con il nostro Smart Working Plus proviamo a compensare. Si tratta di un’iniziativa con la quale diamo la possibilità di stare alle Canarie per 3 mesi. Le persone possono andare a lavorare da remoto da là facendo un’esperienza di co-living: lavorano e vivono insieme. Ovviamente si divertono da morire, vivono con colleghi che magari non hanno mai visto e creano effettivamente legami che si riflettono positivamente anche sull’azienda.
Un’altra cosa che caratterizza la GenZ è che non è molto predisposta al conflitto con l’azienda. Quindi un’altra cosa da tenere a mente è che non devi cercare di imporre la tua visione delle cose, è totalmente una perdita di tempo, spesso anti-economica. E poi la verità è che perdi le persone. Assecondare la loro visione del mondo è importante perché la GenZ è molto committed nel realizzarla. Se non ce la fanno, cambiano lavoro e vanno da un’altra parte dove gli si permette di fare quello che hanno in testa. Personalmente, sono per assecondare qualunque tipo di esigenza, laddove ci sia una fattibilità economica per l’azienda.
Ultimo punto che ho chiaro: la GenZ considera più importante della RAL un contesto che li ingaggia e li motiva. Per dire, solo qualche giorno fa è entrata una persona che veniva da una condizione economica leggermente più vantaggiosa di quella che offrivamo noi ma non ha esitato a considerare come un valore il fatto che in questo contesto avrebbe anche imparato qualcosa di nuovo e fatto qualcosa di meglio. Ha rinunciato al 10% dello stipendio con una serenità che io, tu, molti di noi, non avrebbero avuto alla sua età. E sicuramente non oggi…
Scalare la classifica
Agile Lab
Agile Lab è una realtà specializzata in Data Engineering con un team altamente qualificato che conta quasi 200 specialisti. La sua missione è creare valore per i propri clienti in ambienti “data-intensive”, fornendo soluzioni personalizzabili che consentono di strutturare processi orientati alle performance, architetture sostenibili e piattaforme automatizzate, basate sulle migliori pratiche di data governance.
Realizza piattaforme dati e fornisce soluzioni verticali per il business, combinando competenze specifiche di settore con un profondo know-how tecnologico. Aiuta le aziende nella loro trasformazione Data-Driven, mettendo a disposizione la propria esperienza e il proprio impegno per aiutarle a raggiungere gli obiettivi strategici.
Nel corso degli anni ha implementato importanti progetti, utilizzando questa esperienza per creare Witboost: una piattaforma modulare e tecnologicamente agnostica, che consente alle aziende di scoprire, elevare e produrre i propri dati sia in ambienti tradizionali che su architetture Data Mesh.