CAMBIAMENTO, TRASFORMAZIONE…
parole che sono da qualche anno una costante nel mio lavoro e nella richiesta che l’organizzazione mi fa nel ruolo che mi chiama ad agire ogni giorno.
Inizio una nuova esperienza due anni fa e anche questa volta nel giro di poche settimane mi accorgo che io non sono lì per nessun altro motivo se non per pensare, innescare e supportare ciò che ancora non esiste o trasformare ciò che al momento non sta dando frutto.
Mi guardo allo specchio e mi dico, “Vale ci siamo, questo cambiamento deve succedere e deve succedere per davvero. È per questo che sei qui”.
La prima riflessione che ho fatto all’inizio di questo percorso la ricordo molto bene.
Rieccoci, prendo il ruolo di Global People Development & EB Director e, come storicamente succede, mi viene chiesto di costruire risorse per le persone e mettere a punto processi che supportino la gestione o creino mappe di riferimento per prendere decisioni.
Fantastico, penso, lo so fare!
Questi muscoli li ho allenati per anni, ma ho visto molte volte che questo non è sufficiente a trasformare davvero l’organizzazione.
Perché?
Perché per anni ci siamo dimenticati del CONTESTO, del luogo intesto come spazio, pratiche, rituali, abitudini premiate e non premiate nel quale le persone vivono il loro ruolo, nel quale le persone lavorano.
Questa volta il contesto diventerà un pillar chiave sul quale lavorerò e ci lavorerò con le persone perché, e questo è ormai superfluo dirlo, il cambiamento non lo fa una sola persona, ma le persone che hanno voglia di sostenere l’innesco e renderlo pervasivo.
Il cambiamento non lo fa una sola persona, ma le persone che hanno voglia di sostenere l’innesco e renderlo pervasivo
Abbiamo iniziato questo percorso ormai due anni fa e voltandomi riconosco che il lavoro sul contesto è l’ingrediente più complicato, quello su cui ci vuole pazienza, il lievito madre che permette di attivare e rendere possibile tutto il resto.
Se il contesto è abilitante allora le risorse che diamo alle persone in formazione potranno essere sperimentate, i processi che costruiamo avranno un senso e potranno realmente trasformarsi in nuove pratiche.
Tutto ha preso il via dalla necessità di conoscersi.
La prima domanda che siamo fatti è stata chi siamo e come siamo fatti?
Per rispondere abbiamo ascoltato tantissime persone chiedendo loro cosa, nel modello di valori e comportamenti, fosse già di grande soddisfazione (le risorse a disposizione), di cosa dovesse essere implementato di nuovo (i bisogni emergenti) e infine cosa bloccasse quel modello e quei comportamenti (gli ostacoli attivi nel contesto attuale).
Abbiamo poi fatto molte interviste di approfondimento e una survey per completare la fotografia e ne è emersa una cartografia organizzativa che, grazie al supporto dei kopernicanas (come li chiamiamo in noi) tra cui anche il fantastico Alberto Gangemi, è stata analizzata nel dettaglio ed è diventata l’innesco per presentare cantieri di cambiamento del contesto, attivatori di piccole ma significative trasformazioni, attivatori della fiducia e del dire e dimostrare che si può fare!
Se il contesto è abilitante allora le risorse che diamo alle persone in formazione potranno essere sperimentate, i processi che costruiamo avranno un senso e potranno realmente trasformarsi in nuove pratiche
La cartografia ha messo chiarezza osando dire ciò che spesso nelle organizzazioni succede, ma non si ha il coraggio di ammettere: QUELLO CHE PENSIAMO DI ESSERE NON È QUELLO CHE SIAMO AL MOMENTO, QUELLO CHE VORREMMO VEDERE NELLE ATTITUDINI ANCORA NON ESISTE. DOBBIAMO AGIRE!
Questo primo passo ha permesso alle persone di capire che è possibile per ciascuno prendere parte alla trasformazione e questo non è automatico nelle organizzazioni; dirsi che si può fare è una rivoluzione e apre una quantità di sorprese, chiarisce le nuove regole del gioco e apre possibilità a chi ci vuole giocare.
Trasformare e cambiare i contesti non è un’operazione semplice e ovviamente alza le resistenze, come dice un mio grande amico “Valentina, se non senti la resistenza vuol dire che non stai spostando nulla”.
Se penso alle resistenze incontrate potrei dire che sono di due tipi:
- Le resistenze NON ORA con la frase ricorrente “bel progetto, bell’iniziativa, ma non ora … possiamo rimandarla ad un momento migliore?”La mia risposta di solito è, non esistono momenti migliori dell’oggi la tendenza a procrastinare è nemica del cambiamento. Piuttosto piccoli passi ma non fermi!
- Le resistenze OK, MA NON IO con la frase ricorrente “bel progetto, bell’iniziativa, ma suggerisco di partire dal dipartimento del collega XY”. La regola di chi passa la palla è che prima di passarla deve giocarla. Lo scaricabarile è nemico del cambiamento perché è chiara comunicazione di mancata implicazione.
non ora / OK ma non IO
È così noi abbiamo aperto l’organizzazione con ascolto e cantieri di cambiamento e abbiamo toccato con mano che quando apri l’organizzazione SUCCEDONO due cose inevitabili IL MURO e LA MAGIA.
Ecco che il ruolo di chi guida la trasformazione è quello di sgretolare pezzo pezzo il muro, resistendo e non mollando, permettendo a tutti di vedere che oltre il muro c’è la MAGIA!
Se mi chiedessero oggi cosa sta succedendo, a metà strada nei primi due cantieri di cambiamento e trasformazione del contesto direi che oggi le persone guardano all’HR in modo nuovo, guardano al futuro e alla voglia di implicarsi con maggiore speranza e umanità provando a mettersi in gioco in prima persona.
La cosa che mi fa sempre letteralmente impazzire nel processo di trasformazione è l’effetto “barattolo di acqua e sabbia”; ovvero quando si inizia una trasformazione è come se il barattolo fosse appena stato agitato, per molto tempo e l’acqua fosse molto torbida con mille granelli galleggianti e una visibilità molto ridotta.
Il processo di trasformazione aiuta la sabbia a sedimentare, rimette le cose in un nuovo posto e improvvisamente l’acqua diventa più limpida e tutto inizia a essere visto e a vedersi in modo chiaro.
Questo è per me il più grande beneficio della trasformazione: restituire chiarezza e trasparenza all’organizzazione grazie al lavoro di tutti!
Il processo di trasformazione aiuta la sabbia a sedimentare, rimette le cose in un nuovo posto e improvvisamente l’acqua diventa più limpida
Proprio su questo voglio condividere alcune parole di un collega scritte a valle di un momento di trasformazione.
È finito da poco l’incontro e ci tengo a dirvi una cosa sperando faccia piacere. Ho pensato di scriverla affinché possa rimanere come feedback scritto, ve lo meritate nero su bianco!
Brava!!!!! davvero! e bravi tutti i tuoi collaboratori per questo progetto carico di buoni propostiti a cui stupidamente non ho dato molta importanza. Bravi perché finalmente si cerca di ridurre quelle distanze che ci hanno accompagnato in questi anni di attività. Finalmente è arrivata una persona (un gruppo) capace di diradare la coltre di nebbia che aleggiava, capace di illuminare le sinergie.
E speriamo davvero si possa vedere quel cambiamento tanto sperato. Oggi lo vedo un po’ più reale.
Sono molte le testimonianze come quella di questo collega, persone che vedono, capiscono e si uniscono alla trasformazione e, questa è la vera forza per me, quello che mi fa pensare di non mollare quando la frustrazione (perché lei arriva, fidata compagna di viaggio quando vuoi fare trasformazione) bussa alla porta cercando di dissuaderti dal continuare.
Da quando ho ricevuto questa mail e qualche amico dei miei figli mi chiede ma tu che lavoro fai?
Io rispondo “cerco di diradare le coltre di nebbia e di illuminare le sinergie”, credo questa sia la più bella definizione di cosa sia un cambiamento oggi e di come siano le persone e solo le persone a poterlo fare.