Performance management: dentro il cantiere

lunedì 2 gennaio 2023

5 minuti

Performance management: dentro il cantiere

Come portare un processo dolorosamente burocratico a far parte del valore della vostra azienda.

Che la Qualità possa essere un attributo del processo, non un nuovo, ulteriore processo che a questo si aggiunge, è una “invenzione” del Toyota Production System, aka Lean Management o, meglio, Lean System.
Negli anni Settanta e Ottanta, guardando alle performance del gigante automobilistico giapponese, in Occidente si è cominciato a parlare di built-in-quality, qualità appunto costruita dentro al processo di creazione di valore, non layer successivamente attaccato allo stesso per verificare, monitorare – sempre troppo tardi – il flusso di produzione per accorgersi dei difetti.

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“Le persone non vanno in Toyota per ‘lavorare’; ci vanno per ‘pensare’”. Così diceva Taichi Ohno, padre del Toyota Production System, a indicare la chiave di volta della cosiddetta Qualità Totale: la creatività e l’iniziativa di ogni operaio nella linea di produzione. Creatività e iniziativa è anche spazio di autonomia che gli operai hanno di tirare una cordicella (la cosiddetta corda Andon) che ferma l’intera linea di produzione, nel momento in cui si accorgono di un difetto e valutano che questo possa propagarsi a valle con costi molto più grandi di quelli – già rilevantissimi – derivanti da una interruzione della produzione. Decisione grave, decisione “da manager” che ogni operaio può prendere in autonomia (esempio pazzesco di sicurezza psicologica pur in un contesto fortemente gerarchico).

Anche il performance management è un processo, spesso dolorosamente burocratico, quasi sempre improduttivo come ci spiega Matteo Sola, che si aggiunge al processo “principale” dell’azienda: quello in cui genera valore per il cliente.

Se così stanno le cose, un modo per inquadrare il problema potrebbe essere analogo all’esempio di Toyota: riportare il performance management dentro al flusso che consente alla vostra organizzazione di portare valore sul mercato.

Se così stanno le cose, un modo per inquadrare il problema potrebbe essere analogo all’esempio di Toyota: riportare il performance management dentro al flusso che consente alla vostra organizzazione di portare valore sul mercato.

Si tratta di riunire il “flow” della performance personale, di cui ci parla Alessandro Pirani sulla scorta di Csíkszentmihályi (anch’io grato di non doverlo pronunciare), con il flusso del valore che scorre in azienda.

Grazie tante. Ammetto che potrebbe sembrare che non si stia facendo grandi passi avanti. Fare in modo che la performance individuale sia armonizzata a quella dell’organizzazione. Gente di livello in Kopernicana, che Lapalisse impallidisca al loro cospetto!

Però un attimo. Se dico che è meglio avere un operaio che pensa piuttosto che uno che non pensa, anche al più dispotico dei manager pare oggi una buona idea. Voglio dire che su questa “ovvietà” Toyota ha costruito un sistema che è diventato best practice, a volte sotto mentite spoglie, in qualsiasi contesto industriale e non solo nell’automotive.
In realtà l’ovvietà di una gestione delle performance più attaccata al valore reale generato dall’organizzazione, porta con sé implicazioni piuttosto rivoluzionarie. E la rivoluzione è in atto da un po’ (da più di due anni se è questo che state pensando).

Parlando dall’interno del “cantiere HR”, Matteo Sola restituisce due grandi direttrici della rivoluzione:

  • la performance è di team: spesso, quasi sempre, forse sempre, la performance è del gruppo, anche nei processi apparentemente più selfish come la vendita

  • servono microreviews agili: il performance management dev’essere più vicino a ciò che accade, al luogo in cui si produce valore

Si tratta di attivare una maggiore e più continua riflessività dell’organizzazione, ci racconta Alessandro Pirani sulla scorta di un grande come Donald Schön, un guardare indietro rivolto al futuro (cuore di ogni retrospettiva).

Apprendere durante l’azione e apprendere continuamente: performance management e apprendimento organizzativo sono due facce della stessa medaglia ed è una moneta sempre più distribuita attraverso l’organizzazione, decentralizzata perché sia più vicina al momento di creazione di valore.

Hai voglia di incontrarci, di valutare cosa potremmo fare insieme per la tua organizzazione?

Cosa può significare in concreto?

Tutto ciò è un cantiere, vale la pena ripeterlo, fuori e dentro la funzione HR che certamente è interrogata profondamente dalla rivoluzione in atto.

Come racconta Matteo Sola, il contesto è ancora fluido, non ci sono soluzioni davvero cristallizzate o modelli da “scaricare”. C’è però sicuramente una dimensione che possiamo aggiungere nella rappresentazione della rivoluzione in corso:

  • il performance management come processo, o collezione di vari processi organizzativi, farà sempre più leva sulla dinamica fra pari.

Secondo Chris Rufer, fondatore di The Morning Star, organizzazione “faro” nell’ambito del self-management, qualsiasi azienda è un mercato socialmente denso. “Siamo guidati dal capitale relazionale” e questo capitale è una leva formidabile per un performance management che vada oltre l’ossimoro di “gestire” la performance individuale, che diventi una reale rappresentazione dei percorsi in atto nell’organizzazione e dunque anche un modo per distribuire il valore che l’azienda ha saputo generare.

The Morning Star è diventata famosa per un sistema di “contratti interni” fra colleghi chiamati CLOU (Colleague Letters of Understanding) che, letteralmente, “sostituisce” la gerarchia: l’azienda è fatta di migliaia lettere contrattuali con cui ogni dipendente definisce le proprie responsabilità nei confronti dei suoi colleghi, e viceversa (per una prima spiegazione di questa organizzazione straordinaria leggetevi questo articolo dei Corporate Rebels). Questo “onorare gli impegni” (honor your commitments è uno dei principi aziendali) riporta il performance management ai suoi fondamenti relazionali: relazioni fra pari appunto, che riconoscono il valore di ciò che ognuno porta perché anch’essi sono in gioco.

Parzialmente ispirato ai CLOU di The Morning Star è INDACO, innovativo processo di “revisione dei ruoli” sviluppato in Mondora, software house e B-Corp oggi del gruppo Team System. Indaco (qui un contributo che racconta che cos’è e com’è nato)  è un processo a sostegno del piano di sviluppo personale di ciascun dipendente ed è connesso al sistema dei ruoli che governa l’organizzazione (i ruoli che la persona riveste e quelli cui ambisce) e insieme al sistema di badges formativi che abilita la competenza per rivestire ciascun ruolo. Il processo è fatto di tre momenti: una overview sul passato (una rappresentazione del contributo del lavoratore), una valutazione della improvement area guardando al presente e un piano di crescita sul futuro (attraverso l’acquisizione di nuovi badges).

Questo processo è “curato” da una cerchia di stakeholder, non solo colleghi ma anche portatori di interesse esterni all’azienda. L’idea è che l’organizzazione “ospiti” una traiettoria più ampia, la vita professionale e la crescita delle persone; per un periodo più o meno grande ne diventa garante, ne ha “cura”. La persona è esclusiva “proprietaria” di quel percorso. Competenze e relazioni sono sue. L’apprendimento è suo, quindi o è autoapprendimento o non è (come spiega Giuseppina Cuccurullo in Agile Self Learning). Ma questo percorso non avviene in un vuoto relazionale. È un percorso fatto di relazioni e il riscontro di queste relazioni diventa l’ossatura del (nuovo) performance management.

Che la performance organizzativa sia profondamente connessa niente meno che alla traiettoria esistenziale delle persone che fanno l’organizzazione, che l’eccellenza operativa si nutra del dinamismo della crescita personale, emerge potentemente dalla storia del sommergibile Santa Fe del Capitano David Marquet raccontata in The Leader Ship.
La competenza per Marquet è una storia, un viaggio personale, non un set di skill, e all’azienda conviene ospitare questo viaggio, mettendosi nei panni del suo utente (il lavoratore) chiedendogli e restituendogli feedback su base continuativa.

Tutto ciò è un cantiere, vale la pena ripeterlo, fuori e dentro la funzione HR che certamente è interrogata profondamente dalla rivoluzione in atto.

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