Uno dei miei primissimi ricordi consiste in un rito: prendere una sedia della mia cameretta, salirci sopra, cercare con lo sguardo quella videocassetta nera, trovarla, inserirla nel videoregistratore della mia sala, premere play e prendere placidamente posto sul mio divano. Una volta raggiunta una certa età, più vicina a quella della consapevolezza, ho scoperto che – guarda un po’ – non era tutto frutto dell’immaginazione di quel bravo regista, ma il film era tratto da un libro pubblicato da un certo Crichton nel 1990. Così ho cercato il libro e l’ho acquistato a una bancarella per pochi euro.
Un mesetto fa, la copertina gialla di quella vecchia edizione di Jurassic Park mi è ricapitata tra le mani. Non ho resistito alla tentazione di sfogliare qualche pagina in ordine sparso, più o meno fino all’indice, dove la mia attenzione si è fermata alla divisione del testo in una sessantina di brevi o brevissimi capitoli, ognuno con un titolo specifico. Ci è voluto meno di qualche secondo per accorgersi del ripetersi costante, tra questi capitoli, di una parola su tutte: Controllo. Perché questa parola domina l’indice del libro? Perché compare solamente dal momento in cui i protagonisti atterrano a Isla Nublar – l’isola costaricana dove sorge il parco – senza essere mai menzionata prima? Perché suona così sinistra alle orecchie di un partner di un’organizzazione self-managed? C’era solo un modo per rispondere a queste domande: ricominciare a leggere.
Provo a farla breve. Il Jurassic Park si erge su un’isola del Costa Rica acquistata da John Hammond, visionario e bizzarro imprenditore con il sogno di creare un parco di divertimenti popolato da creature preistoriche, alcune di queste tra le più pericolose che abbiano mai messo piede sulla Terra. Le ingenti disponibilità economiche a disposizione del progetto hanno permesso la costruzione di un sistema di controllo tecnologicamente iper avanzato, al quale Hammond e tutti coloro che lavorano al progetto si affidano ciecamente. Non esiste la possibilità che una creatura possa sfuggire al controllo degli esseri umani: esistono sistemi di sicurezza, recinti elettrificati, sensori, telecamere e quanto di più innovativo si potesse concepire nel 1990. Inoltre, per evitare la proliferazione incontrollata degli animali, ogni dinosauro creato con l’ingegneria genetica è una femmina: è perciò impossibile che possa riprodursi.
Non esiste la possibilità che una creatura possa sfuggire al controllo degli esseri umani.
L’organizzazione dietro l’organizzazione
Ian Malcolm è un eccentrico matematico della teoria del caos che è stato invitato direttamente da Hammond, insieme al paleontologo Alan Grant, alla paleobotanica Ellie Sattler e ad altri personaggi, con lo scopo di fornire una valutazione oggettiva sulla futura apertura del parco. Malcolm è anche il primo a sollevare dei dubbi, ancora prima della partenza: “Quell’isola ha un problema. È un incidente in attesa di verificarsi.” Ancora non sa quanto avrà ragione e quali saranno le disastrose conseguenze a cui la compagine andrà incontro. Tra queste, le più clamorose sono due: la prima è che alcuni dinosauri hanno lasciato l’isola per raggiungere il continente, la seconda è la scoperta di nidi di dinosauro sparsi per l’isola. La prima implica che, in qualche modo, le barriere fisiche e tecnologiche che sono state costruite per sigillare l’isola e la sua fauna non hanno funzionato a dovere. La seconda implica che, come scopriremo più avanti, per uno scherzo dell’ingegneria genetica, gli animali possono effettivamente riprodursi. Non solo: implica che stanno addirittura creando un’organizzazione dietro l’organizzazione, sfuggita completamente al controllo degli esseri umani. Comincia a suonare un campanello? Beh, dovrebbe suonare, perché questo accade in tutte le organizzazioni del mondo, tutti i giorni.
Le organizzazioni sono organismi complessi, composte da persone – non necessariamente da dinosauri, ma procediamo una metafora alla volta – che hanno interazioni, interessi, motivazioni, relazioni, idiosincrasie, talenti, limiti che non sono definibili né modificabili dalla struttura formale in cui sono inseriti. Una rappresentazione formale raramente è in grado di rispondere alle esigenze dell’organizzazione innanzitutto perché non rappresenta nemmeno un’approssimazione di cosa sia l’organizzazione stessa. Le variabili in gioco sono tante e tali da non essere comprensibili senza l’emergere di comportamenti sconosciuti e, spesso, impronosticabili. E lo stesso vale se si vogliono riportare in vita creature che hanno vissuto decine di milioni di anni fa.
Quell’isola ha un problema. È un incidente in attesa di verificarsi.
Le giuste domande da porsi
A questo punto, sono diverse le domande che possiamo porci. Se il controllo indiscriminato delle persone che lavorano con noi e per noi non funziona, che fare? Come conoscere davvero l’organizzazione sostanziale e non la sua versione semplificata e appiattita su un organigramma? Come far emergere quella fitta rete di relazioni tra persone, strumenti e touchpoint che inevitabilmente viene a formarsi in ogni organizzazione?
Qui entrano in scena le ONA. Le Organizational Network Analysis consentono di comprendere, mappare e quantificare le dinamiche di collaborazione emergenti di persone, team ed entità aziendali. In particolare consente di portare alla luce, e dunque valorizzare, i legami deboli, che spesso sono responsabili dell’imprevedibilità dei comportamenti organizzativi. Tutto questo senza ridurre la complessità delle interazioni, solitamente appiattite in un organigramma, ma rendendole leggibili e mostrando l’organizzazione reale, altrimenti invisibile agli occhi.
Aaah! Se solo avessero avuto qualcosa di simile i nostri eroi a Jurassic Park!
Kopernicana, proprio qualche giorno fa e dopo diversi mesi di lavoro, ha dato alla luce un nuovo prodotto che fa esattamente al caso vostro, se durante la lettura è suonato quel campanello. Un prodotto che ha l’obiettivo di rendere evidenti e alla portata di tutti quelle dinamiche organizzative complesse che, una volta emerse, potranno aiutare enormemente le aziende che vogliono fare innovazione e quantificarne l’impatto su team, persone e processi.
Nei prossimi giorni ne saprete qualcosa in più, stiamo lavorando per voi.
La cosa importante è porsi le domande giuste, prima che sia troppo tardi. Perché se il film di Jurassic Park sembra concludersi con paesaggi dal tramonto rosato e con aspettative radiose sul futuro, il libro finisce male. Anzi, malissimo.