Perché vogliamo controllare?

giovedì 12 dicembre 2024

4 minuti

Perché vogliamo controllare?

Come l'apnea ci insegna a controllare ciò che conta davvero

Pietro Antolini

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Noi tutti viviamo di aspirazioni e paure. Aspirazione che i nostri obiettivi diventino realtà e paura che succeda qualcosa di brutto. Controllare che “tutto vada per il verso giusto” è qualcosa che abbiamo imparato crescendo, tuttavia non esiste sport o prestazione in genere senza possibilità di fallimento. Visto che il controllo ha funzionato per cose più semplici è facile cadere nella trappola di pensare: “per ridurre il rischio mi basta aumentare il controllo!”. Ci sono due problemi in questo ragionamento:

1 – abbiamo la presunzione di poter cambiare il mondo. In realtà la quantità di cose fuori dal nostro controllo supera di gran lunga le (poche) cose su cui abbiamo influenza.

2 – non tutto il controllo ha un effetto positivo su noi stessi e sugli altri

L’apnea profonda in assetto costante è uno sport particolare.

Un solo respiro, nessun aiuto esterno, l’obiettivo è andare più profondo possibile con le proprie forze (e tornare sani). Prima di partire si decide la profondità perché il cavo guida viene posizionato alla misura scelta. A quel punto, dopo una pausa di rilassamento e respirazione, inizia la discesa. Per le prime decine di metri bisogna vincere il galleggiamento quindi serve un certo sprint ma poi, man mano che si scende, lo sforzo diminuisce ed inizia una lunga, immobile, caduta. Totale solitudine. Silenzio. Buio.

Abbiamo la presunzione di poter cambiare il mondo. In realtà la quantità di cose fuori dal nostro controllo supera di gran lunga le (poche) cose su cui abbiamo influenza.

Controllo su cosa?

In 15 anni di apnea agonistica ho imparato a controllare molto bene il fisico: non solo la tecnica e la fatica ma anche il respiro e il rilassamento. Tuttavia durante la prestazione ci sono una quantità di cose che non vanno come vorrei: la corrente mi sposta, la compensazione non è perfetta, sento freddo… All’inizio ogni cosa mi distraeva e intervenivo per correggere, anno dopo anno l’esperienza mi ha insegnato a distinguere quello che è giusto che attiri la mia attenzione e cosa invece lasciar andare. Questo è stato il primo grande insegnamento dell’apnea: controllare pochissime cose importanti e operare le minime correzioni possibili per non perturbare il sistema. Di anno in anno diminuisce il numero di cose che sento di potere e volere controllare. Devo fidarmi del mio corpo: dopotutto è lui quello che farà il lavoro! I suoi meccanismi fisiologici sono molto più complessi di quanto io possa immaginare o gestire.

 

Abbandono totale?

Sembrerebbe quindi una strada chiara verso un totale rilassamento e abbandono: magari! Spesso nel mio sport si rischia di scivolare nella visione ideale di assenza di sforzo. Approfondendo la questione, letteralmente, è chiaro che lasciar andare e non contrastare è fondamentale. (Per i più ingegneri fra voi la pressione aumenta di 1 kg al cm/2 ogni 10 metri. Praticamente a 50m ogni cm^2 del nostro diaframma è sottoposto a 6kg, come avere una persona adulta in piedi sulla propria pancia: inutile cercare di resistere).

Ma se questo è indubbiamente vero per il corpo, c’è però un elemento molto più sottile e sfuggente: la mente! Possiamo abbandonarla libera a fare ciò che vuole? Provate a trattenere il fiato anche solo per un minuto, guardate cosa fa la mente e poi parliamone.

Questo è stato il primo grande insegnamento dell'apnea: controllare pochissime cose importanti e operare le minime correzioni possibili per non perturbare il sistema.

La mente mente

La mia mente non si fida! Vuole costantemente intervenire. Se le sensazioni del corpo ho imparato a lasciarle andare, lei prende un qualsiasi pensiero ed è in grado di amplificarlo senza limiti. Se è in un momento negativo scava nel passato e recupera ricordi di cose andate male “ti ricordi quella volta? E se oggi succedesse di nuovo?”. Il passaggio al fisico è immediato: tensioni tensioni tensioni! Allo stesso modo se la giornata è positiva, arriva di tutto: “dai che ce la fai! Spingi tanto non succede niente!” Molto pericoloso. In sostanza continuano a crearsi dei loop: immaginazione –> tensione –> sensazione. Quindi “abbandonare la mente” non è fattibile! Volare con il pensiero verso cose positive è una strategia che dura solo nella fase iniziale. Man mano che aumenta la profondità, a testa in giù, nel buio e nel freddo, quello che conta è la capacità di osservare, rimanere equanimi e intervenire con morbidezza. Essere vigili ma non ansiosi, riconoscere i pensieri positivi e negativi e riportare la propria mente ad una routine familiare.

 

Come allenarsi

L’apnea profonda mi ha catturato come sport perché amplifica tutti questi aspetti mentali. Probabilmente il motivo fondamentale è che, mentre si scende, non è per nulla facile decidere quando fermarsi perché l’ossigeno è ancora tanto e fisicamente si sta bene. Lo sforzo è quasi tutto in risalita, è la fase in cui si consuma di più e si rischia di rimanere senza ossigeno. La mente lo sa.

Per esplorare i comportamenti della mia mente ed allenarmi avevo bisogno di luoghi meno estremi e ho incontrato lo yoga e la meditazione. Entrambe basano la comprensione sull’esperienza diretta, un apprendimento che supera di gran lunga quello intellettuale, tuttavia queste pratiche acquistano senso solo se mi ci dedico con la voglia di esplorare e riflettere.

 

 

Se vi è piaciuto questo articolo, siamo felici di segnalarvi Respira!, il libro scritto da Pietro che esplora l’apnea come metafora e strumento per una vita più profonda e consapevole.

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