Nuove organizzazioni, nuove competenze

martedì 17 giugno 2025

7 minuti

Nuove organizzazioni, nuove competenze

Il futuro del lavoro

In un mondo del lavoro in rapida evoluzione, la vera innovazione passa dalla formazione comportamentale e dalla capacità delle organizzazioni di adottare linguaggi condivisi, modelli agili e leadership distribuita. Claudio Vandi, CPO di NUMA, ci guida tra pratiche concrete e visioni trasformative

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Negli ultimi anni, il mondo del lavoro è stato profondamente trasformato non solo dall’introduzione di nuove tecnologie, ma soprattutto dall’esigenza crescente di nuove pratiche manageriali e culturali. Questo cambiamento – che è in corso, anzi, per certi versi è solo all’inizio – non riguarda soltanto aspetti tecnologici come la digitalizzazione dei processi o il sempre maggior utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma include l’evoluzione nelle strutture, nelle pratiche, nelle forme di collaborazione e nella cultura interna delle aziende. Sempre più organizzazioni adottano modelli aperti, puntando sull’autonomia decisionale delle persone, sulla flessibilità organizzativa e su nuove forme di distribuzione della responsabilità salariale. In questo contesto la formazione mirata può essere un motore decisivo verso il cambiamento culturale, permettendo alle aziende di affrontare con maggiore efficacia e serenità queste nuove sfide. Per approfondire questo tema ne abbiamo parlato con Claudio Vandi, Chief Product Officer di Numa, realtà francese specializzata proprio in formazione aziendale e supporto al cambiamento organizzativo.

Con alle spalle una formazione che coniuga semiotica, scienze cognitive e anni di esperienza nella trasformazione digitale tra Italia e Francia, Vandi ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di Numa, organizzazione nata come co-working e acceleratore d’impresa e che poi si è evoluta negli ultimi sei anni in una realtà che si occupa esclusivamente di formazione nell’ambito delle cosiddette “soft skill” e del cambiamento culturale nelle aziende. Il suo sguardo, indipendente ma profondamente radicato nelle esperienze maturate a contatto con grandi imprese e scale-up europee, offre spunti preziosi per chi ha l’obiettivo di rendere il lavoro più sostenibile, collaborativo e centrato sulle persone.

Vandi ci accompagna in un viaggio verso le nuove frontiere del lavoro e della formazione, partendo dal “qui e oggi”, cioè dal contesto in cui tutti – lavoratori e imprese – sono chiamati a operare. “Il mondo del lavoro è parte del Mondo – afferma – quindi l’instabilità politica ed economica si riflette direttamente su di esso. Una delle grandi sfide per le imprese, oggi e in futuro, è offrire una forma di stabilità in un contesto altamente instabile. Mi riferisco a stabilità economica e organizzativa: le persone devono poter contare su un minimo di certezza, pur nella complessità del presente”. 

La direzione intrapresa da molte organizzazioni porta verso modelli più leggeri, distribuiti, in cui l’autonomia delle persone è vista non come una concessione, e nemmeno come un gesto “illuminato”, ma come un prerequisito per la velocità e l’efficacia. Cambiare il modo in cui le aziende lavorano è quindi un’esigenza concreta, legata all’efficienza e alla capacità di prendere decisioni rapide in contesti sempre più fluidi e distribuiti.

Offrire una forma di stabilità in un contesto altamente instabile

Formazione come prodotto trasformativo

Nel cuore di questo cambiamento si colloca il ruolo strategico della formazione. Non una formazione teorica, astratta, standardizzata. Ma un’esperienza concreta, immersiva, costruita su casi reali e pensata per generare comportamenti nuovi. In questo senso, Numa adotta un modello dichiaratamente ispirato al mondo del prodotto digitale: moduli di due o tre ore, live, aggiornati costantemente e costruiti per essere combinati in percorsi personalizzati. Da qui il concetto di “prodotto”. Inoltre, questa logica si estende anche al modo in cui Numa gestisce i programmi: pianificare le sessioni, raccogliere feedback, automatizzare i processi il più possibile.

A proposito dei comportamenti, Vandi sottolinea che “spesso le aziende dicono di voler cambiare cultura, valori. Io credo che se cambi i comportamenti, la cultura cambia di conseguenza. Per me è vero il contrario: se cambi i comportamenti, la cultura cambia di conseguenza. La formazione, in questo, ha un ruolo fondamentale, perché è uno strumento che serve a cambiare i comportamenti. E la formazione crea uno spazio in cui sperimentare quei comportamenti: provare a dare un feedback diverso, gestire una riunione diversamente. Ovviamente la scala è importante: formare 10 persone in un’azienda da 10.000 non basta. Non si può pensare che la cultura scenda per osmosi. Serve massa critica”.

Questa visione per Numa si traduce in un catalogo di oltre sessanta moduli, costantemente aggiornati, che affrontano temi come il feedback, il coaching, la comunicazione, la gestione degli obiettivi, il lavoro in team distribuiti. Temi che rispondono alle reali esigenze delle imprese, spesso alle prese con team internazionali, hybrid o full remote, in cui la chiarezza comunicativa e la responsabilizzazione diventano imprescindibili.

Ogni modulo è pensato per essere aggiornato come un software: in tre lingue (francese, inglese, italiano), con materiali per i formatori e contenuti adattabili al settore e al contesto aziendale. “La nostra filosofia parte dai moduli, con i quali componiamo i percorsi. Il nostro è quindi un approccio semi personalizzato. La prima personalizzazione che facciamo è nella selezione e combinazione dei moduli. La seconda riguarda l’adattamento dei case study al contesto dell’impresa: cambiamo settore o adattiamo le situazioni ai contesti reali dei nostri clienti. Il vantaggio di questo metodo è che possiamo aggiornare continuamente i contenuti, cosa che sarebbe quasi impossibile se i contenuti fossero totalmente su misura. Inoltre, lavorare con clienti diversi permette di migliorare sempre il prodotto. Ad esempio, il modulo sul feedback erogato per Louis Vuitton è migliorato grazie all’esperienza fatta con Doctolib, e viceversa. Questo ci permette di lavorare con contenuti robusti, adattati ma già collaudati”.

Esistono aziende più disposte a investire in formazione per guidare il cambiamento e molte di queste sono clienti di Numa. L’azienda parigina lavora principalmente con grandi imprese quotate in borsa (circa il 40%), con imprese industriali soprattutto nei settori logistica, trasporti, farmaceutica (30%), mentre il resto sono scale-up. “Tra i nostri clienti – illustra Vandi – si trovano Doctolib, Qonto, LVMH, Kering, Richemont, Cartier, Montblanc, Generali. Tutti vogliono cambiare le loro pratiche di lavoro, rinnovare il modo in cui i manager gestiscono le persone”.

Tuttavia esistono ancora diffidenze da superare e sono questi i temi con cui chi lavora nella formazione si trova ogni giorno ad avere a che fare. “Una delle principali – riscontra Vandi – è la percezione della bassa priorità delle soft skill rispetto alle hard skill. In un momento storico in cui si parla quasi solo di intelligenza artificiale, automazione e trasformazione tecnologica, un’azienda potrebbe chiedersi: uso il mio budget per formare le persone sull’AI o sul feedback e sul coaching? Spesso per la svolta serve un cambiamento di leadership, l’ingresso in azienda di un manager, magari proveniente da altri settori, che intuisce che per velocizzare la trasformazione non basta l’aspetto tecnologico, bisogna anche cambiare il modo di lavorare. What got you here won’t get you there. Quello che vi ha portati fino a qui non vi porterà dove volete andare”.

What got you here won’t get you there

Leadership e linguaggio condiviso

Un altro tratto distintivo del metodo Numa è l’approccio inclusivo e trasversale alla formazione. Non si lavora solo con i manager intermedi o con i team member operativi. Si coinvolge anche il top management. E non con contenuti ispirazionali, ma con le stesse esatte tecniche pratiche. L’obiettivo è creare un linguaggio condiviso che permetta alle organizzazioni di funzionare come un sistema coerente.

Racconta Claudio Vandi: “Un esempio interessante è un gruppo con cui lavoriamo da diversi anni, che si chiama Open, una società di servizi informatici. Li abbiamo formati, ad esempio, sul tema del feedback a tutti i livelli dell’impresa. Spesso queste tecniche sono relegate al management intermedio o basso. La cosa interessante con loro, che facciamo anche con altri, è formare anche il top management alle stesse identiche tecniche. Sottolineo: esattamente le stesse tecniche. Spesso vedo che la leadership riceve formazione ispirazionale, grandi concetti. Ai team member, invece, si danno strumenti pratici. È molto più efficace dare strumenti pratici a tutti, e soprattutto usare lo stesso linguaggio e framework. Altrimenti, la comunicazione fallisce. Un altro aspetto del nostro approccio è formare prima i livelli inferiori, poi la leadership, al contrario di quanto si fa normalmente. Perché? Perché formando prima i collaboratori, possiamo raccogliere feedback, osservazioni e problemi che poi portiamo ai dirigenti. Questo approccio bottom-up è molto utile per rendere la formazione più concreta e avere un impatto reale. Spesso – continua – partiamo dai team. Li formiamo sul coaching, sugli obiettivi. Poi, quando arriviamo al top management, portiamo dati e testimonianze: guardate che per il vostro team gli obiettivi non sono chiari, la comunicazione non è efficace. Così la formazione diventa una leva di verità, oltre che di cambiamento. È una visione che risuona con molte delle pratiche che promuoviamo, dove il cambiamento parte dall’ascolto e dalla condivisione dei significati, non dall’imposizione top-down”.

Un aspetto del nostro approccio è formare prima i livelli inferiori, poi la leadership, al contrario di quanto si fa normalmente

Giovani e nuove aspettative

Le trasformazioni in atto, però, non sono solo organizzative o tecnologiche. Sono anche culturali e generazionali. Le nuove generazioni che entrano nel mondo del lavoro portano con sé aspettative diverse: voglia di senso, partecipazione, ma anche la ricerca di equilibrio tra vita e lavoro. “È una combinazione difficile da gestire – ammette Vandi – che comprende da un lato desiderio di coinvolgimento, ownership, dall’altro una dose, se vogliamo un po’ cinica, di distanza emotiva dall’impresa. I giovani vogliono essere parte attiva, ma non vogliono che l’azienda diventi la loro identità. Nel periodo pre-Covid si è parlato molto della “freelancizzazione” del mondo: tutti freelance, tutti autonomi. Una certa disaffezione verso il modello tradizionale del lavoro dipendente permane tuttora ed è anche figlia di uno spostamento delle priorità verso la sfera privata. D’altro canto la certezza di uno stipendio per molti resta attrattiva e potrebbe esserlo ancora di più in un contesto sociale, politico ed economico segnato dall’incertezza”.

Il rischio è che le imprese non sappiano cogliere questa complessità, finendo per non riuscire a trattenere i talenti migliori. Ma il potenziale è enorme: “Quando l’impresa è capace di offrire spazio, ascolto, autonomia, allora torna a essere una forma di organizzazione lavorativa interessante, diventa un canale per esprimere i propri progetti, le proprie competenze: diviene un moltiplicatore. Questa nuova sensibilità non è solo generazionale. È anche una conseguenza dei cambiamenti nel mondo del lavoro: distribuzione, autonomia, flessibilità. Chi entra oggi in un’organizzazione può avere accesso a ecosistemi molto più flessibili rispetto al passato. Ma non sono vantaggi distribuiti equamente per tutti: lavorare in un contesto sensibile al cambiamento e avere un profilo appetibile dalle aziende spesso fa la differenza”.

Distribuzione, autonomia, flessibilità

Da un contesto instabile a un nuovo equilibrio possibile

Il futuro, dentro e fuori le aziende, è ancora tutto da scrivere. Secondo Claudio Vandi, il contesto internazionale complesso determinerà l’andamento del mondo del lavoro, favorendo le imprese più pronte a reagire al cambiamento. In un mondo in apparenza sempre più dominato dal fattore tecnologico, l’essere umano avrà paradossalmente un ruolo cruciale. 

“Viviamo un’epoca in cui si prefigura una competizione feroce tra giganti economici – argomenta Vandi – con gli Stati Uniti e la Cina in prima linea. In questo scenario, immagino due tipi di imprese: le grandi multinazionali, che saranno inevitabilmente coinvolte in questa tensione geopolitica ed economica globale; e una costellazione di piccole e medie imprese – anche familiari – che possono essere più agili, più locali, più attrattive e soprattutto capaci di innovare a livello organizzativo proprio perché non vincolate dalle logiche della finanza globale. In Francia ci sono esempi interessanti, come il gruppo Bel, che ha introdotto modelli organizzativi alternativi, fuori dagli schemi, proprio grazie all’ autonomia e alla dimensione che consente di sperimentare. La vera sfida per tutte le imprese sarà quella di rimanere attrattive. Anche le startup, un tempo percepite come le imprese “sexy” dove tutti volevano lavorare, oggi devono affrontare la realtà: gli investitori vogliono risultati concreti, non solo crescita. La festa è finita, in un certo senso”.

Il cambiamento, però, contiene in sé le sfide, gli strumenti per risolverle e, in prospettiva, riserva anche opportunità interessanti. Secondo Vandi un segnale è il ritorno nelle imprese con un certo spirito imprenditoriale, più vicino all’entrepreneurship che all’innovazione intesa come sola digital disruption. “C’è una volontà diffusa di riprendere l’iniziativa, di riconnettersi ai clienti, di capire meglio i bisogni, di far uscire le imprese da una certa “sonnolenza” causata da un eccesso di focus su metriche finanziarie. Questo, secondo me, rappresenta una grande opportunità per i giovani: entrare in aziende dove c’è spazio per agire, per proporre idee, per trasformare. L’impresa non è più (solo) un luogo che assorbe le energie individuali, ma può diventare un canale per dare forma e forza ai propri progetti, con più risorse e una rete di supporto”.

Nel mondo che verrà – è questa la visione di Vandi – le imprese dovranno essere capaci di coniugare efficienza e umanità, velocità e ascolto, performance e partecipazione. La formazione, intesa come spazio di sperimentazione e pratica, sarà uno degli strumenti principali per accompagnare questo cambiamento. E poiché ogni innovazione, per funzionare davvero, deve partire da come ci parliamo, da come decidiamo, da come lavoriamo insieme, la rivoluzione del lavoro non sarà compiuta a partire dalle tecnologie, ma attorno all’essere umano.

C’è una volontà diffusa di riprendere l’iniziativa, di riconnettersi ai clienti, di capire meglio i bisogni, di far uscire le imprese da una certa “sonnolenza”

Alberto Gangemi ci accompagna in un viaggio attraverso la trasformazione del mondo del lavoro e delle organizzazioni. Si parte da una constatazione ormai evidente: i modelli tradizionali, fondati sulla separazione tra chi decide e chi esegue, non funzionano più. Le persone vogliono partecipare attivamente alla progettazione del proprio lavoro, e sempre più organizzazioni iniziano a comprenderlo.

Gangemi ci introduce così al concetto di organizzazioni aperte, in cui autonomia e responsabilità si distribuiscono su tutti i livelli. È un cambio di prospettiva radicale, ma necessario, per affrontare un contesto in continuo cambiamento. La pandemia ha mostrato che il lavoro può essere ripensato, che la separazione tra vita e lavoro è un’illusione, e che serve una sinergia più profonda.

Attraverso esempi concreti e immagini tratte dalla vita quotidiana – come la metafora della caffettiera progettata male – Gangemi ci invita a ripensare le organizzazioni come oggetti d’uso comune: progettati bene, insieme a chi li utilizza. E ci ricorda che alla base di ogni cambiamento servono conversazioni reali, fiducia diffusa e la capacità di mettersi in discussione.

Infine, ci offre uno sguardo a chi ha già intrapreso questa strada, come Var Group e Haier, dimostrando che cambiare è possibile anche per realtà grandi e complesse. Una lettura che unisce visione e concretezza, utile per chiunque voglia immaginare un futuro del lavoro più umano, collaborativo e sostenibile.

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