Lo sfumato vocabolario della strategia

lunedì 4 marzo 2024

7 minuti

Lo sfumato vocabolario della strategia

Purpose, vision, mission, strategia, obiettivi, OKR, priorità...: una chiave interpretativa

Le parole possono essere affilate come lame o inconsistenti come la nebbia, il linguaggio eleva l’universo umano dall’aspra essenzialità delle poche leggi fisiche che ne governano i fondamenti, e genera un’ infinita varietà di sfumature di percezione e di modi di comunicarcele. 

Non sempre tuttavia è facile essere precisi quando servirebbe, ci sono infatti alcuni concetti che sembrano voler sfuggire in ogni modo all’immensità di parole che potremmo utilizzare per circoscriverli meglio di quanto facciamo.

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Se perfino un mostro sacro come Peter Drucker è riuscito a produrre definizioni di “Strategia” che avremmo potuto leggere scartando un  Bacio Perugina (“La strategia è un’azione finalizzata a uno scopo” – 1974)  possiamo sospettare che quello del pensiero strategico sia uno degli ambiti in cui la polarità tra sfumatura e precisione, non è stata esplorata ancora a sufficienza… 

Purpose, vision, mission, strategia, obiettivi, OKR, priorità, euristiche, roadmap strategiche, progetti strategici, sono solo alcuni dei termini che popolano quest’universo un po’ oscuro, proviamo a darne una chiave interpretativa esplorando alcune possibili relazioni, partendo proprio dai concetti sui quali sembra più difficile trovare accordo.

Cominciamo con l’osservare che ogni organizzazione umana esiste nel tempo, ed è immersa in un ambiente che la assoggetta a forze non sempre direttamente influenzabili, e ancor meno controllabili. Questo rende irrinunciabile il suo continuo sforzo di anticipare il futuro e di orientare la propria attenzione.
Che vediate o meno attorno a voi un mondo VUCA o siate così avanti dall’essere già passati al BANI, una cosa è certa: mai come oggi le organizzazioni umane hanno un forte bisogno di utilizzare al meglio l’unica risorsa veramente limitata: il tempo.

Mai come oggi le organizzazioni umane hanno un forte bisogno di utilizzare al meglio l’unica risorsa veramente limitata: il tempo

Cosa fare per utilizzare bene  il tempo?
La risposta è banale nella narrazione, molto meno nell’attuazione.
Scegliere innanzitutto cosa fare, distinguerlo da cosa non fare, spacchettarlo in unità azionabili e ordinarle secondo criteri di importanza e urgenza sono i dettami che qualunque libro “for dummies” sull’argomento snocciolerebbe.
Dato che queste unità di lavoro azionabili richiedono poi del tempo per essere svolte è necessario sforzarsi di anticipare quale nuovo stato di realtà corrente la loro realizzazione comporterà per noi, e quale nuovo livello di consapevolezza produrrà in noi, in modo da riflettere e compiere scelte successive ancora migliori.
Da questo deriva la continua sinergia tra anticipazione e orientamento.

La madre di tutte le domande organizzative è forse: “perché fare alcune cose e non altre?”.  Controintuitivamente la risposta a questa domanda viene spesso offuscata dalle organizzazioni se non addirittura evitata.
Pensiamo al quotidiano: quanti lavoratori non hanno libertà di dare risposta autonoma a questa domanda? Per molti di noi l’unico metro di visibilità sul perché facciamo ciò che facciamo, è la sequenza cieca degli ordini che via via riceviamo dall’alto. Questo dipende da molti aspetti, uno dei quali è sicuramente la chiarezza e la sincerità con cui l’organizzazione di cui facciamo parte esprime il proprio  “perché”, (il management style della catena gerarchica è forse il secondo aspetto che più influenza la questione).

La madre di tutte le domande organizzative è forse: “perché fare alcune cose e non altre?"

Le organizzazioni tendono a porre termini quali  “Purpose”, “Vision” e “Mission” nella categoria dei concetti che nascono per aiutarci a  far luce sull’area del “Perché”.
In letteratura tuttavia non riscontrerete definizioni perfettamente disgiunte di questi tre concetti, le seguenti definizioni sono da imputare più al mio personale bisogno di fare chiarezza, e le condivido volentieri, pronto a rimetterle in discussione in qualunque momento.

Purpose è il motivo fondamentale per cui un’organizzazione esiste e consiste in una sorta di impatto, a volte persino idealistico, e quasi irrealizzabile, ma sicuramente ispirativo, che l’organizzazione vuole produrre tramite il proprio operato sul contesto in cui opera . È il sogno che idealmente dovrebbe farci alzare tutti la mattina per lavorare proprio qui, pur sapendo che probabilmente non lo realizzeremmo mai appieno, è ciò che connette lavoratori e clienti oltre il puro scambio di valore.

Sulla Mission è possibile leggere tutto e il contrario, credo sia  sostanzialmente assimilabile al purpose ma in un’ accezione più tradizionale, di solito esprime obiettivi di minor respiro, e la sua declinazione stressa spesso i benefici che l’organizzazione intende perseguire per sé, e tiene l’impatto in secondo piano (classiche sono le declinazioni del tipo: “Vogliamo diventare i migliori a…” oppure “Vogliamo essere  il riferimento sul mercato x ” etc etc.). In generale si riscontra che le organizzazioni purpose oriented considerano i competitor una risorsa per il proprio ecosistema, quelle mission oriented una minaccia contro cui agire direttamente.

La Vision è qualcosa di diverso, una considerazione generale rispetto alle caratteristiche future dell’ambiente che la nostra organizzazione vuole contribuire a produrre (o in cui in generale si considera destinata ad operare) . La vision non è qualcosa che un’organizzazione può produrre da sola, è un futuro auspicato per più soggetti che riguarda un intero ambiente all’interno del quale il suo purpose o la sua mission si manifestano.

Pupose, vision, mission

Se il “perché” è il nostro faro o la nostra meta ultima ecco che è necessario scegliere una “strategia” per arrivarci. Ed è qui che il terreno si fa ancora più torbido, perché i “perché” possono avere diversi livelli di concretezza e virtù.
Molte organizzazioni esistono per alimentare sogni ben poco catalizzanti per chi è invitato a contribuirvi. Arricchire un imprenditore, o qualche fondo investitore, crescere bulimicamente fino ad occupare l’80% del proprio mercato o semplicemente “continuare ad esistere” , diciamocelo. Non sono esattamente obiettivi che generano passione in chi è chiamato a collaborarvi attraverso un rapporto di lavoro.
È questo il motivo per cui spesso i mission statement delle nostre aziende rimangono assolutamente vaghi e pretenziosi e non offrono nulla di direttamente azionabile.

Alcuni sostengono che avere skin in the game, mitiga gli effetti collaterali di un perché debole, ma Daniel Pink ci ricorda, che senza autonomy, mastery e soprattutto purpose, il lavoratore è depontenziato, perché l’umano, che ne veste i panni, non si realizza. 

Se avessimo un motivo di esistere nel chiaro formulare una strategia equivarrebbe a identificare la strada che ha più senso perseguire tra quelle  alternative che potrebbero condurci  alla sua realizzazione.
In assenza di un goal chiaro la strategia finisce per fare anche un lavoro che non è suo, quello di definire la meta oltre che la direzione.
Ed è per questo che di strategia si parla sempre poco e male.

Se il “perché” è il nostro faro o la nostra meta ultima ecco che è necessario scegliere una “strategia” per arrivarci

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