Dall’algoritmo alla strategia

lunedì 9 giugno 2025

7 minuti

Dall’algoritmo alla strategia

Come l’Intelligenza Artificiale sta cambiando le imprese italiane

Giorgio Sacconi
Parallelozero
Alessandro Vitale

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Dalla rivoluzione delle interfacce conversazionali all’impatto sui modelli organizzativi, Alessandro Vitale racconta l’adozione dell’AI tra resistenze culturali, ritardi strutturali e nuove competenze da valorizzare. Un viaggio dentro la trasformazione del lavoro, vista dal fronte dell’innovazione

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L’AI come leva di innovazione aziendale

È passato poco più di un anno da quando Sam Altman, CEO di OpenAI, ha rivelato durante un’intervista col cofondatore di Reddit Alexis Ohanian che in una chat con altri CEO di aziende tech ci si domanda quando accadrà che un singolo founder sarà in grado di portare la propria azienda alla valutazione di un miliardo di dollari (quello che in gergo si chiama un “unicorno”) senza assumere un singolo impiegato. Altman non ha dubbi sul fatto che questo scenario possa realizzarsi, tant’è che la domanda non è “se” ma “quando”: la chiave – ça va sans dire – sarà l’Intelligenza Artificiale.

Oggi è presto per dire quanto lontano e ambizioso sia questo traguardo, tuttavia è indiscutibile che qui e ora l’intelligenza artificiale stia già rivoluzionando il mondo delle imprese, trasformando il modo in cui le organizzazioni gestiscono i processi, prendono decisioni e interagiscono con clienti e dipendenti. In altre parole l’AI sta ridisegnando il tessuto organizzativo e decisionale delle imprese, ponendo nuove sfide e opportunità.

In questo scenario di profondo cambiamento, Alessandro Vitale – tra i pionieri dell’Intelligenza Artificiale in Italia – offre una visione privilegiata sul presente e il futuro dell’adozione dell’AI nelle aziende.
Vitale ha iniziato a occuparsi di intelligenza artificiale in un’epoca in cui il termine era ancora poco diffuso nel mondo aziendale. Già nel 2008, con la sua prima startup, Optimist AI, ha esplorato le potenzialità degli algoritmi per il business, sviluppando sistemi di raccomandazione per la vendita. “In realtà AI stava per Augmented Intelligence, perché pensavo a un utilizzo della tecnologia a supporto delle persone. Mentre Optimist derivava dalla mia passione per la vela (Optimist è la prima barca che un principiante incontra nel suo percorso) e da un approccio verso l’AI ottimista ma al tempo stesso ragionato”.
Vitale si è avvicinato all’Intelligenza Artificiale per curiosità personale stimolata dall’intuizione: “Lavoravo in una grande multinazionale tedesca e stavo osservando come molte aziende tech, da Google ad Amazon, fossero riuscite a riprendersi dalla crisi delle
dot com dei primi anni Duemila grazie ai primi strumenti di AI come il page rank e i recommended system. Poi la crisi dei mutui subprime del 2008 mi ha spinto a riprendere qualche argomento che avevo studiato a Ingegneria, integrandoli con i primi corsi di machine learning che Andrew NG (Professore a Stanford, poi cofondatore di Coursera) teneva online, per capire come gli algoritmi potessero essere usati in un’ottica di Intelligenza Aumentata”. 

Nel 2016 Vitale fonda a Londra la sua seconda azienda, di cui è attualmente CEO: Conversate, che si occupa di interfacce conversazionali basate sull’AI. “L’elemento scatenante è stata l’apertura di Facebook Messenger ai chatbot, quindi abbiamo costruito una piattaforma enterprise per fare chatbot con algoritmi di AI proprietari che ha sviluppato alcuni dei casi principali in Italia come quelli di Ubi Banca e Prysmian. Oggi Conversate continua a svilupparsi in questo settore, che negli ultimi tempi è cambiato molto in seguito all’introduzione dell’AI generativa”.

L'intelligenza artificiale stia già rivoluzionando il mondo delle imprese

L’adozione dell’AI nelle aziende: tra progresso e resistenze

Negli ultimi anni, l’adozione dell’AI nelle aziende è cresciuta rapidamente, ma il processo non è privo di ostacoli. L’AI genera allo stesso tempo aspettative e timori e molte aziende non dispongono ancora degli strumenti per integrare e gestire al meglio l’Intelligenza Artificiale, anche per un tema di mancanza di competenze. “L’Europa ha investito meno in tecnologie rispetto agli Stati Uniti, e l’Italia ancora meno. Questo ha creato un gap che si è fatto sentire in modo particolare nel mondo dell’AI”, osserva Vitale. “Molti esperti sono emigrati, e per anni è mancata una generazione di senior che potesse guidare i più giovani. Ora la situazione sta migliorando, ma il ritardo accumulato pesa ancora”. Il fatto che oggi molte richieste possano essere risolte utilizzando algoritmi fatti da terzi (come i GPT) “ha abbassato la soglia di competenze IT e di dominio necessarie per usare le AI, di conseguenza ha allargato il numero di persone che possono fare progetti”, ma “a volte manca qualcuno che capisca quando le cose non funzionano e sappia individuare gli errori”. 

C’è poi un tema di approccio. Secondo Vitale aspettative eccessive e timori infondati vanno temperati con ponderazione, visione e strategia. “Da un certo punto di vista in Europa c’è troppo pessimismo: siamo una popolazione che sta invecchiando e forse per questo abbiamo paura dell’innovazione, con il rischio che procedere con il freno tirato porti a restare indietro, a far perdere a lavoratori e aziende competitività e spendibilità sul mercato del lavoro. Serve un atteggiamento positivo, ma meditato, perché dall’altro lato il rischio è di mettere in campo progetti troppo ambiziosi, di avere aspettative irrealizzabili, che poi porterebbero a brusche frenate”. 

L’Europa ha investito meno in tecnologie rispetto agli Stati Uniti, e l’Italia ancora meno

AI e organizzazione aziendale: il ruolo chiave delle risorse umane

L’approccio all’AI in molte aziende non è ancora sufficientemente strutturato. A riprova di questo fatto, sottolinea Alessandro Vitale, “tante volte vengono costruiti dei team interfunzionali per far partire l’AI in azienda in cui è rappresentata l’IT, c’è il Business, però quasi mai a quei tavoli c’è HR che invece è una presenza fondamentale”. Questo per Vitale è un grosso problema, perché se il tema del cambiamento dei processi, delle mansioni, in definitiva del modo di lavorare, non viene affrontato fin da subito può comportare fraintendimenti e rallentamenti. “Il cambiamento apportato dall’AI non è solo tecnologico, ma anche umano. In molti progetti AI, HR è completamente assente (vuoi perché le aziende, specialmente medio piccole, non dispongono di questa risorsa, vuoi perché non la coinvolgono), e questo è un errore. L’AI cambia le mansioni e le dinamiche aziendali: se non si gestisce il cambiamento fin dall’inizio, si rischiano resistenze e problemi di adozione”.

L’AI cambia le mansioni e le dinamiche aziendali: se non si gestisce il cambiamento fin dall’inizio, si rischiano resistenze e problemi di adozione

Il “collega AI”: un nuovo paradigma?

Vitale propone una metafora efficace per descrivere il ruolo dell’AI nelle aziende: “L’intelligenza artificiale è come avere a disposizione un esercito infinito di stagisti digitali, in grado potenzialmente di eseguire compiti anche complessi in tempi molto rapidi. Questo da un lato è una guida a imparare a delegare, perché scrivere un prompt fatto bene significa spiegare alla macchina un compito nel dettaglio, così come bisognerebbe saperlo spiegare a uno stagista o a un dipendente. Dall’altro l’AI richiede sempre il controllo e l’esperienza umana per garantire risultati affidabili. Non va dimenticato, infatti, che il più delle volte l’AI può fornire dei validi semilavorati, che poi vanno interpretati, raffinati e validati da qualcuno che abbia l’esperienza per farlo”. Per Vitale questo significa acquisire nuove competenze e cambiare i flussi di lavoro: “Lavorare fianco a fianco con l’AI significa avere una serie di colleghi che fanno dei pezzi di lavoro: noi dobbiamo essere bravi a chiamarli, ingaggiarli e valutarli. In futuro queste capacità saranno sempre più ricercate”.  

Se la capacità di lavorare con l’AI e trarre da essa il massimo dei benefici rappresenta un talento, questo, secondo Alessandro Vitale, va valorizzato e remunerato, con incentivi non soltanto economici. E questo è vero non solo a livello di management ma, soprattutto, di corpus aziendale. “È naturale che, dietro alla possibilità di lavorare con l’AI (e quindi alla necessità di istruirla) in molti lavoratori serpeggi il dubbio di stare addestrando lo strumento che potenzialmente potrebbe sostituirli, quindi il nemico. Perciò chi vive la rivoluzione dell’AI da protagonista non può essere liquidato come qualcuno che svolge semplicemente la sua funzione, magari ‘ringraziandolo’ con un carico di lavoro supplementare. Serve un sistema di riconoscimento più premiante per la persona, che spinga a far emergere casi di pratiche virtuose dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, che magari in azienda esistono già ma ognuno le tiene nascoste dentro al proprio computer”. 

Chi vive la rivoluzione dell’AI da protagonista non può essere liquidato come qualcuno che svolge semplicemente la sua funzione

Il futuro dell’AI nelle aziende: verso un’integrazione sempre più profonda

Guardando al futuro, Vitale individua alcune tendenze chiave che caratterizzeranno l’evoluzione dell’AI nelle aziende. Tra queste, il passaggio dalle semplici automazioni alle soluzioni avanzate di AI agent, in grado di interagire con diversi sistemi IT per eseguire compiti complessi. Un esempio è la funzione “Deep Search”, in italiano “Approfondisci”, che diversi sistemi come ChatGPT hanno iniziato a offrire agli utenti a pagamento: “Con questa funzione, a fronte di un brief seguito da alcune domande di chiarimento da parte dell’interfaccia AI, è possibile ricevere report approfonditi anche di 20 o 30 pagine su un determinato argomento”. 

Ciò non significa che questi sistemi siano infallibili, anzi: il tema dell’errore e quello della responsabilità diventeranno sempre più cruciali man mano che l’integrazione delle AI nelle aziende diventerà più radicata. “Sarà sempre più importante mantenere alta l’attenzione delle persone nei confronti dei risultati prodotti dall’AI”, spiega Vitale. “È una questione di fiducia: se non controlliamo bene l’AI quando scopriremo che sbaglierà (e sbaglierà) rischieremo di rimanere scottati. Da troppa fiducia a zero fiducia in un attimo. Un freno all’adoption è dato anche dalla questione della responsabilità: chi è responsabile in azienda quando l’AI commette errori? Per evitare di restare ingessati nella paura serve definire delle regole del gioco chiare, in modo tale che le persone si sentano tranquille, pur nella consapevolezza che l’utilizzo delle intelligenze artificiali in azienda non può essere privo di rischi. Alcune aziende, almeno all’inizio, cercano di gestire il problema delle responsabilità concentrando le competenze AI in strutture specifiche (si parla a volte di AI Hub). Tuttavia credo che l’adozione delle AI in azienda possa arrivare anche ‘dal basso’, cioè dalle tante persone che già utilizzano semplici strumenti di AI come ChatGPT, Gemini, Claude, Copilot e, attraverso questi, trovano soluzioni per compiere meglio il proprio lavoro”. 

Secondo Vitale, la disponibilità di strumenti di AI già pronti all’uso e relativamente economici può contribuire a stringere il gap nell’AI adoption tra grandi aziende e PMI: “Ho sempre creduto che le grandi realtà avessero un vantaggio competitivo dato dalla capacità di investimento e dalla maggiore facilità di accesso alle competenze. Tuttavia, vedo tra le PMI e persino tra i professionisti una rapidità di adozione a volte superiore a quella delle realtà più grandi. Questo grazie agli strumenti a basso costo che sono già presenti sul mercato, come i vari GPT. Inoltre, mentre alcune piattaforme AI in uso alle grandi aziende costano parecchio e quindi vengono distribuite agli utenti con parsimonia (penso ad esempio all’integrazione di Copilot su Teams in Microsoft), altre più spesso usate dalle PMI, come Google Workspace che include Gemini, hanno costi più bassi. Tutto ciò sulla carta può abbassare la barriera d’ingresso all’AI e democratizzare l’accesso all’innovazione, permettendo a realtà più piccole di essere competitive sul mercato, ma l’adozione dell’AI nelle aziende più piccole avverrà comunque a macchia di leopardo, ad esempio in base alla propensione all’innovazione delle aziende, alle spinte degli imprenditori o dei dipendenti”. 

Credo che l’adozione delle AI in azienda possa arrivare anche ‘dal basso’

Nuovi modelli aziendali decentralizzati: l’AI e l’organizzazione del futuro

L’intelligenza artificiale sta portando le aziende a ripensare i propri modelli organizzativi. Sempre più spesso si parla di modelli decentralizzati, in cui l’AI aiuta a distribuire il lavoro e a ottimizzare i processi decisionali. “Se questa innovazione parte dal basso, un’organizzazione che si gestisce da sola, in cui le persone hanno più autonomia come la cosiddetta ‘self managed organization’, può tirare fuori il meglio dall’introduzione dell’AI e produrre maggiore innovazione”, afferma Vitale.

Tuttavia, l’AI pone anche delle domande sulla natura stessa delle organizzazioni. “L’AI può aiutare a semplificare molti aspetti della vita in azienda che oggi richiedono diversi passaggi e confronti interni. Se nel prossimo futuro ogni lavoratore avrà a disposizione un’AI con cui può risolvere i problemi, avrà ancora senso confrontarsi con i colleghi?”, si chiede Vitale. “Le aziende potrebbero diventare meno collaborative e più individualiste, e in quel caso sarà necessario immaginare delle contromisure, per esempio prevedendo dei momenti d’incontro e scambio di informazioni tra colleghi, sul modello di quanto avviene già oggi nelle aziende che hanno scelto di adottare in misura massiccia lo smart working”. 

L’adozione dell’AI, dunque, non è solo una questione tecnologica, ma anche culturale e organizzativa, che può offrire grandi opportunità ma non attraverso soluzioni semplici o preconfezionate. Tuttavia Vitale si conferma “ottimista”, come già nel 2008 quando creò la sua prima startup di AI, e cita le parole di Karim Lakhani, professore alla Harvard Business School: “L’intelligenza artificiale non sostituirà gli esseri umani. Ma gli umani con intelligenza artificiale sostituiranno gli umani che non ce l’hanno”. 

“Il mondo del lavoro cambia e continuerà a cambiare sempre più velocemente, ma non vedo necessariamente l’AI come qualcosa che toglie”, conclude Vitale. “Serve però disponibilità al cambiamento. Da parte del management, che deve avere visione, offrire formazione e valorizzare le competenze. Anche, inevitabilmente, da parte dei collaboratori, chiamati a comprendere che l’unica via per restare competitivi è imparare, acquisire nuove competenze, non resistere al cambiamento ma abbracciarlo”. 

Il mondo del lavoro cambia e continuerà a cambiare sempre più velocemente

Adattarsi o scomparire

L’intelligenza artificiale generativa (GenAI) non è soltanto un cambiamento tecnologico, ma una forza di trasformazione profonda dei modelli organizzativi, dei ruoli lavorativi e della leadership. Nel podcast Future4Work, Giorgio Sacconi riflette con Luna Esposito, giornalista di Will Media, su come questa rivoluzione stia imponendo alle imprese un adattamento continuo e sempre più urgente, portando con sé nuove opportunità, ma anche dilemmi etici e sfide pratiche.
La conversazione si snoda su questi punti:

  • La GenAI come forza trasformativa
    Non solo tecnologia, ma leva di cambiamento radicale nei modelli organizzativi, nei ruoli e nella leadership.

  • Accelerazione e tensioni nel lavoro
    L’intelligenza artificiale genera efficienza, è facile da adottare e accessibile: ingredienti di una trasformazione rapida ma potenzialmente destabilizzante.

  • Decentralizzazione e self-management come risposta
    Le organizzazioni distribuite permettono di gestire l’impatto della GenAI facendo emergere e valorizzando le tensioni anziché reprimerle.

  • Conoscenza situata e frontiera dell’esperienza
    Il vero potenziale dell’AI si scopre nei luoghi in cui si sperimenta: serve spostare autonomia e potere decisionale verso la periferia organizzativa.

  • Organizzazioni complesse, non complicate
    Non basta applicare soluzioni lineari a problemi complessi: servono nuove forme di governance ispirate ai sistemi naturali.

  • Il metodo Nautilus
    Nato in seno a Kopernicana (e alla startup Firefly), è un modello di adattamento continuo, iterativo, basato su cicli di apprendimento e co-evoluzione.

  • Tre gambe del cambiamento (Levitt)
    Tecnologia, persone, processi: tutte indispensabili per una vera trasformazione sostenibile e inclusiva.

  • Progress over perfection
    Il cambiamento non si affronta con grandi piani triennali, ma con piccoli passi sperimentali e progressivi.

 

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