Ruoli e decisioni autocratiche: il padrone “sono me”

martedì 4 giugno 2024

10 minuti

Ruoli e decisioni autocratiche: il padrone “sono me”

È possibile creare inclusività a livello sistemico, distribuendo diritti decisionali esclusivi ai talenti che hanno informazioni e skill

Ognuno di noi, fosse anche l’ultimo nella scala gerarchica della propria azienda, al di fuori del proprio contesto lavorativo prende molteplici decisioni di rilevanza assolutamente manageriale se non addirittura imprenditoriale (accensione di mutui, acquisti di asset, scelte su dove vivere e lavorare etc etc). Nel corso dell’attività lavorativa, però, sembra quasi che ci venga sistematicamente impedito di mettere a frutto questa capacità, e la stragrande maggioranza delle persone è sottoposta ad una sorta di continuo baby sitting, quasi questa fosse le reale definizione del lavorare insieme.

D’altro canto i limiti dell’eccessivo accentramento verticistico delle decisioni sono facilmente sperimentabili, i processi di delega ed escalation richiedono tempi spesso incompatibili con la velocità decisionale necessaria, soprattutto se i livelli di middle management sono molti. Quando poi il management è in vacanza anche le decisioni “locali” diventano un problema, i team perdono capacità decisionale, l’assenza di chiarezza su chi possa prendere quali decisioni domina la scena, soprattutto se si tratta di decisioni nuove, che non sono mai state prese prima di quell’occasione.

Ognuno di noi, al di fuori del proprio contesto lavorativo, prende molteplici decisioni di rilevanza assolutamente manageriale

Questi limiti sembrano suggerire la necessità di agire contemporaneamente in due direzioni diametralmente opposte.

Da un lato aumentare  l’inclusività delle persone nei processi decisionali, per attingere alla quota d’intelligenza che rimane latente, e contemporaneamente imparare a delegare meglio per ridurre i colli di bottiglia.
La letteratura manageriale in voga va esattamente in questa direzione: dotarsi di manager sempre più bravi ad ascoltare ed includere, e al contempo a delegare.

Noi che siamo fan dei sistemi la cui efficacia non dipende dallo stile con cui singole persone interpretano il loro lavoro tendiamo a storcere il naso di fronte a questi suggerimenti.

Nella nostra visione si tratta di una prospettiva limitata e per i seguenti motivi: 

  • l’ascolto e l’inclusività pre-decisionali che riteniamo essere imprescindibili e vitali in alcuni specifici ambiti, sono comunque fonti di lentezza e dovrebbero essere sempre ridotti allo stretto indispensabile;
  • la delega è un debolissimo strumento d’intelligenza collettiva in quanto:
     a) è quasi sempre priva di tratti sistemici e si sostanzia in una relazione personale tra  delegante-delegato (quanto spesso  avviene per mail tra due soggetti: “Questa cosa falla tu…”?)
    b)  la scelta stessa di delegare una decisione trova nel management un single point of failure e di fatto vincola l’intelligenza che l’intera organizzazione potrebbe esprimere all’intelligenza attraverso cui il management sceglie o meno di delegare una particolare decisione

Siamo fan dei sistemi la cui efficacia non dipende dallo stile con cui singole persone interpretano il loro lavoro

Che fare allora per gestire al meglio il trade-off tra velocità, inclusività, autonomia ed efficacia? 


Servono lenti differenti con cui guardare l’organizzazione del lavoro, lenti che rendano accettabili le tre frasi seguenti:

  • Aspettarsi che il management possa decidere di volta in volta cosa delegare o peggio, abbia l’ultima parola su tutto,  è irrealistico e incompatibile con la complessità e la volatilità che ogni organizzazione deve affrontare
  • Nella stragrande maggioranza dei casi qualunque membro  dell’organizzazione ha talenti superiori al suo manager di riferimento in almeno un ambito di specializzazione specifico
  • Le catene approvative in un contesto di trasparenza e chiarezza organizzativa creano più danni (da lentezza ed occasioni perse) di quanto non diano benefici (da mancati errori e riduzioni del rischio)

Un management che condividesse questi assunti potrebbe tranquillamente smettere di delegare e iniziare a distribuire autorità decisionale.

Servono lenti differenti con cui guardare l’organizzazione del lavoro

Ok ma come si distribuisce l’autorità decisionale? È molto più semplice di quanto si possa credere.


Ecco una serie di step utili (ordinati per difficoltà crescente):

  • Creare  ruoli organizzativi chiari dotati di poche responsabilità precise, concise e visibili a tutti, niente job description chilometriche create su misura per la persona, ma “cappelli” facilmente assegnabili 
  • Inserire le descrizioni di quei ruoli su un tool facilmente navigabile ed accessibile all’intera organizzazione
  • Attribuire a quei ruoli piena autonomia decisionale nell’ambito del maggior numero possibile di responsabilità ricevute (adottando il vecchio approccio autorizzativo solo per eccezione, e non come regola di base) 
  • L’attuazione dei punti precedenti permetterà di ridurre notevolmente il tempo da dedicare all’attività di management e le persone che ricoprono il ruolo di manager potranno ora dedicarsi meglio a strategie, definizione di priorità , gestione delle risorse e perché no, magari allocare il proprio talento anche su altri ruoli organizzativi
  • introdurre processi decisionali collettivi di revisione periodica di quegli stessi ruoli

Anche se sembra paradossale è possibile creare inclusività a livello sistemico, distribuendo diritti decisionali esclusivi ai talenti che hanno informazioni e skill necessari a prendere decisioni.
L’autocrazia può diventare quindi molto democratica, quando i diritti decisionali vengono spacchettati in modo chiaro tra più “micro-dittatori”, ognuno pienamente autonomo nel proprio ambito. E se il processo con cui quelle micro-dittature vengono configurate e modificate è inclusivo/collettivo (questo è l’obiettivo del punto 5 della lista precedente) allora il sistema potrà riflettere costantemente su se stesso e ottimizzare costantemente la gestione del trade off tra velocità, ascolto e partecipazione.
 

Siamo sicuri che funzioni? Sì, perché lo facciamo tutti i giorni.
Kopernicana non ha manager, ma ciò non significa che il sistema non eserciti attraverso la distribuzione di responsabilità, la funzione che il management svolge in altre organizzazioni. Semplicemente nessuno è è singolo punto autorizzativo di tutte le decisioni di un team, e spesso una persona che definisce strategie e priorità per gli altri in un’area specifica dell’organizzazione, le riceve a sua volta da un’altra persona in un altro punto dell’organizzazione.

Siamo sicuri che funzioni? Sì, perché lo facciamo tutti i giorni.

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